Libero Grassi, 28 anni dopo il suo omicidio mafioso La figlia: «Rischiamo di tornare indietro di 20 anni»

«Sono arrivata a Barcellona, io sto bene. Voi come state?». A questa domanda di rito, dall’altra parte del telefono, Alice Grassi non si aspetta certo di sentire che suo padre è morto. Sono da poco passate le sette e mezza del mattino di un altro assolato giorno di fine agosto, Libero Grassi è appena uscito dal portone di casa, in via Alfieri, per andare a piedi a lavoro, quando lo raggiungono quattro proiettili. È il 29 agosto del 1991, la mafia è venuta a saldare il suo conto. Riscuoterlo, forse, s’è rivelato pure troppo facile, considerando la solitudine e l’emarginazione sociale seguite alle denunce pubbliche dell’imprenditore catanese. «Ho subito due estorsioni, una rapina e intimidazioni varie», raccontava lui stesso solo quattro mesi prima di venire ucciso, seduto negli studi televisivi di Samarcanda, intervistato da un giovanissimo Michele Santoro.

Diviene, suo malgrado, un simbolo di ribellione, mal digerito tanto da Cosa nostra quanto dalla società civile dell’epoca, che non lo ha mai spalleggiato. Per il suo omicidio finiscono in galera il boss di Resuttana Salvino Madonia e il complice che quel giorno era alla guida della macchina, Marco Favaloro, che in seguito si pentirà ricostruendo l’agguato. Di quel giorno, però, malgrado i 28 anni trascorsi, resta ancora quasi lo stesso senso di impotenza, lo stesso peso. «Ai tempi abitavo ancora con i miei, lì in via Alfieri, per fortuna non c’ero quel giorno, ero in viaggio, avrei avuto davanti ai miei occhi una scena tremenda – racconta oggi la figlia -. Un “per fortuna” relativo, almeno nella mia memoria c’ho un padre vivo e non per terra in quelle condizioni».

Da quel giorno, anno dopo anno, le domande rivolte a lei e alla sua famiglia sono sempre rimaste più o meno le stesse. Tutto alla ricerca spasmodica di dettagli privati di quel giorno da rubare dal cassetto dei suoi ricordi o valutazioni da quello che accaduto o meno da quel giorno. «Sembra che per Palermo ci sia un “con Addiopizzo” e un “senza Addiopizzo” – dice -. Da quando esiste noi non siamo più soli, questa è una cosa importantissima. Attorno a questa realtà c’è una realtà preziosa e notevole di imprenditori che hanno aderito, oggi le persone che denunciano vengono seguite». E i numeri del Comitato sorto una sera d’estate di quindici anni fa parlano chiaro: sono più di mille i negozi e le imprese che si sono schierati dalla parte di Addiopizzo e oltre 13mila i consumatori che si sono fatti sostenitori in prima persona. 

«Nonostante oggi ci sia chi continua a pagare e in certe circostanze a negare anche l’evidenza, crediamo che in questo frangente storico, rispetto agli anni bui in cui fu ucciso Libero Grassi, il fenomeno non colpisca più la maggior parte degli operatori economici della città di Palermo», osservano gli stessi volontari del Comitato. Che, però, chiedono che sparisca il pericoloso «scarto tra repressione e impegno della politica». Quello che, al contrario, in questi giorni sembra essere invece cresciuta ancora di più. «Non verranno più anticipate ai legali che assistono le vittime i rimborsi delle spese sostenute – spiega ancora Alice Grassi -. Una cosa gravissima. Se la vittima di estorsione, una volta fatto questo passo, deve pure anticiparsi le spese legali per denunciare… Poi ci domandiamo perché non denunciano tutti? Il sistema stava funzionando bene, perché cambiarlo? E perché questo silenzio assordante attorno a questa pesante novità?».

Dove sono le attenzioni, si chiede la figlia dell’imprenditore oggi? Le stesse venute meno quando si trattò di suo padre e che adesso, in formule diverse, sembrano esistere ancora, sempre. «Un provvedimento – torna a dire – che ha effetto immediato e che non vale solo per le denunce future, ma anche per chi lo ha già fatto. Ci sono insomma avvocati che, per il loro preziosissimo lavoro, non prenderanno mai nulla, a meno che non decidano di rivalersi su quelle vittime che tanto faticosamente si sono decise a farsi avanti. Chiedo a tutti di interessarsi a questa gravissima novità, anche perché il problema mafia non è marginale, non riguarda solo noi. Non facciamo passi indietro di vent’anni». Il rischio, secondo lei, sarebbe proprio questo, quello di vanificare addirittura quanto faticosamente conquistato fino ad oggi.

L’unico modo perché questo non avvenga è quello di interessarsi tutti, ogni giorno, ai cambiamenti che rischiano di avere gravi ripercussioni nel mondo dell’antimafia. Dimostrando un impegno costante anche in fatto di memoria, ben diverso dalle commemorazioni di facciata comandate dall’anniversario di turno. «Mi piacerebbe che l’interesse di tutti ci fosse ogni giorno, non solo il 29 agosto», osserva infatti. La giornata di oggi si articolerà attraverso tre momenti diversi, ai quali lei stessa sarà presente: alle 7.40 verrà deposta una corona di fiori in via Alfieri. Alle 15.30 dalla Cala partirà la terza edizione della Vela per l’inclusione sociale, diretta fino al parco di Acqua dei Corsari intitolato a suo padre. Mentre, alle 19 al Nautoscopio si chiuderà la giornata con il dibattito Le cicatrici della crescita

E proprio su quel parco intitolato a Libero Grassi, la figlia sembra finalmente aver ritrovato le speranze. «Ho seguito l’iter del progetto: in questo momento il Comune ha fatto il progetto di massima, con cui ha partecipato al bando, poi vinto, per disinquinare l’area. Progetto che ha ottenuto un importante finanziamento, 11 milioni e mezzo di euro per la messa in sicurezza e il ripristino ambientale, e ora il Comune deve fare il progetto esecutivo, non so a che punto sia. Intanto, l’assessore Giusto Catania mi ha convocata per giorno 4 settembre – rivela -, immagino voglia aggiornarmi. Rispetto all’immobilismo di alcuni anni fa, almeno adesso c’è un iter che è partito, le novità sono grosse visto che esiste un progetto che è stato finanziato, considerando che invece per sei anni non c’è stato praticamente nulla».

Silvia Buffa

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