Attese, scrollate di spalle e la rassicurante consapevolezza di poter dire che le responsabilità non stanno tutte da una parte. La storia della legge sull’istituzione dei liberi consorzi comunali e delle aree metropolitane si accinge a trasformarsi nell’ennesima metafora esemplificativa dello stallo che caratterizza la politica siciliana.
A meno di 72 ore dalla scadenza dei sei mesi – previsti dalla legge dello scorso 28 marzo per la costituzione dei nuovi enti sovracomunali che dovrebbero sostituire le province – tra le amministrazioni comunali dell’hinterland catanese a regnare è l’attendismo.
Dopo le riunioni degli scorsi mesi tra quei sindaci convinti dell’esigenza di dover uscire dall’area metropolitana di Catania, nulla di concreto arriverà la prossima settimana alla Regione. Nessuna proposta ratificata seguendo i dettami della legge, ma soltanto un insieme di auspici, buone intenzioni e desideri. Il Consorzio Jonico-etneo, l’ipotesi che pareva più accreditata nelle ultime settimane e che prevede la partecipazione di comuni del Messinese, tra cui Taormina, per adesso rimarrà, appunto, un’ipotesi. La notizia, tuttavia, era già nell’aria da tempo considerata da una parte la lentezza delle trattative e dall’altra le lacune di una legge che, allo stato attuale, poco dice riguardo alle competenze che i liberi consorzi avranno.
Tra i punti più delicati, che hanno portato i primi cittadini a inviare una lettera alla Regione con l’esplicita richiesta di intervenire a modificare la legge, vi è senz’altro la questione referendum: secondo la normativa approvata a marzo, infatti, le decisioni prese dalle amministrazioni dovranno essere confermate da un referendum popolare, consultazione che è mal vista dalla maggior parte dei sindaci, da una parte per gli eccessivi costi organizzativi e dall’altra perché si correrebbe il rischio, come successo a Gela, di vedere sfumare gli sforzi profusi in fase di contrattazione.
«Siamo consapevoli dell’approssimarsi del termine previsto dalla legge – dichiara Roberto Barbagallo, sindaco di Acireale, il comune che dovrebbe fungere da capofila nell’ipotetico Consorzio Jonico-Etneo – ma questa è stata la naturale conclusione di un iter burocratico in cui le lacune sono state più delle certezze». Per il primo cittadino acese, quindi, non si è trattato di lassismo: «Finché il governo regionale non farà chiarezza sulla questione non si potrà fare altro che attendere. È vero – continua Barbagallo – la politica sembra confidare in eterne proroghe, ma in questo caso non c’è alcuna volontà di procrastinare o non assumersi responsabilità. Il problema è a monte ed è sotto gli occhi di tutti».
Il futuro, in ogni caso, ad Acireale non dovrebbe prevedere un inatteso ritorno nell’area metropolitana di Catania: «Il consiglio comunale ha già votato mesi fa l’uscita dall’area metropolitana. La questione – conclude – è chiusa. Al momento saremo nel consorzio dell’ex provincia di Catania, con la speranza di poter presto riprendere le pratiche per creare una realtà diversa e definita in base a criteri di interesse collettivo».
E se queste sono state le parole del sindaco acese, dai comuni limitrofi sembra emergere ancora più indecisione. A Santa Venerina, per esempio, è programmato per sabato il consiglio comunale in cui verrà votata l’uscita dall’area metropolitana, mentre sempre in extremis a Valverde si dovrebbe andare verso l’adesione. Infine c’è il caso di Aci Catena dove il sindaco, Ascenzio Maesano, rimanda tutte le responsabilità alla Regione sorvolando sul compito, che secondo la legge sarebbe spettato sempre ai Comuni, di essere parte attiva nella formazione dei liberi Consorzi: «Abbiamo fatto quello che c’era da fare, ovvero decidere se stare o meno nell’area metropolitana. Sono i deputati che poi devono legiferare», ha dichiarato il primo cittadino catenoto.
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