Lettera di Messina Denaro per avere il terreno di Riina Dall’amico del superlatitante per valutarne l’autenticità

Di lettere Matteo Messina Denaro ne ha scritte diverse. C’è quella d’amore che manda «con il cuore a pezzi» alla sua fidanzata tre giorni dopo il mandato di cattura del 1993, per dirle addio prima di diventare un latitante; e poi ci sarebbe quella di tutt’altro tenore inviata nel 2007 all’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino che, secondo l’ipotesi di uno psicologo della polizia, sarebbe opera di uno scrivano che avrebbe elaborato i suoi pensieri su commissione. E, adesso, nell’operazione Ermes fase 3 ne viene fuori un’altra sulla cui autenticità però c’è più di un dubbio. 

In questo caso, si tratterebbe di un lettera intimidatoria consegnata, il 29 dicembre 2013, per mano di Vincenzo La Cascia (uno dei 14 indagati) ai coniugi Giuseppina Maria Passanante – la figlia del defunto capomafia di Mazara del Vallo, Alfonso – e Giuseppe La Rosa. Niente auguri di Natale né buoni auspici per l’anno a venire. Solo minacce per la loro incolumità e per quella dei loro figli per costringerli a cedere la disponibilità di un fondo agricolo, in contrada Zangara a Castelvetrano, appartenuto a Totò Riina. Un tentativo di estorsione, per cui sono indagati La Cascia e il superlatitante, che però non va a segno. «Ed è già una contraddizione intrinseca – si legge nell’ordinanza firmata dalla giudice Claudia Rosini – che le persone offese si sarebbero, bellamente, rifiutate di soggiacere».

Il fatto è che, sin dal momento in cui ce l’hanno avuta tra le mani, i coniugi si sono interrogati sull’autenticità della lettera. Quello stesso giorno, viene intercettata una conversazione che marito e moglie fanno con Vito Gondola, il reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo – morto a luglio del 2017 – e con il suo braccio destro Giuseppe Calcagno, uno dei due arrestati nell’operazione di sabato, con l’accusa di associazione mafiosa ed estorsione. Dal dialogo emerge chiaramente la fermezza con cui la coppia rifiuta di cedere il terreno perché, altrimenti, sarebbe venuta meno la volontà del defunto boss Passanante.

«Su questo pezzo di terreno c’è stata sempre invidia – spiega la donna – “Qua dentro c’è solo un cristiano che si può intestare le mie cose, uno che non chiacchiera”, dice riportando le parole del vecchio proprietario. “Ed era mio padre“». Per non tradire gli insegnamenti ricevuti «Zu’ Vi, noialtri non possiamo non rispettare quelle che erano le volontà. E – aggiunge La Rosa – fino a quando se la vanno a prendere con noi, calati junco che passa la china». Solo che questa volta pare che il misterioso autore della lettera abbia intenzione di prendere di mira anche altri eredi. «Io ho fra le mani una bomba a orologeria e ai miei figli non gliela voglio lasciare». 

Due timori da mettere sui due piatti della bilancia. Fatta qualche valutazione, il marito ribadisce che «noi siamo stati delegati e, fino a quando abbiamo tanticchia (un po’, ndr) di cervello e tanticchia di salute, non possiamo delegare a nessuno. Quindi, chiunque si presenterà non gli possiamo dare l’ok». Anche Passanante sembra convinta: «Forse la mia strada è sbagliata, però a me è stato detto così e io così farò, mi possono anche ammazzare». 

Resta, però, da chiarire se quella lettera sia davvero stata scritta da Matteo Messina Denaro. Ai coniugi sembra improbabile visti gli ottimi rapporti che vantano con gli altri membri della famiglia. Il dubbio li assilla al punto che vanno a Castelvetrano da un amico del latitante che anche loro conoscono per farsi fare una sorta di perizia calligrafica alla buona. «Non ti fidare delle apparenze», avrebbe risposto l’uomo senza sciogliere il sospetto. L’ultima parola non chiarificatrice è di Vito Gondola: «Cosa posso dire? Le cose si discutono, non è che uno si fida così alla cieca. Di questo sistema non si capisce più niente e, nel dubbio, io non lo so». 

Marta Silvestre

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