Lentini, il ricordo di un prof visionario e vicino ai deboli «Giovanni Marino si identificava ne L’attimo fuggente»

Papillon colorato, su maglione e camicia stile british, l’inconfondibile sorriso che riempiva ogni ambiente e poi gli insegnamenti, il modo poetico di trasmetterli ai suoi alunni. Oggi, nei giorni in cui ricorre il 26esimo anniversario, alunni e colleghi disegnano un ritratto di Giovanni Marino – noto insegnante di storia dell’arte al Liceo classico di Lentini, che il 15 febbraio del 1992 decise di togliersi la vita nella scuola dove insegnava. «Si identificava nel professore del film L’attimo fuggente – ricorda Fabrizio Caracciolo, suo ex alunno -. Il primo incontro al quarto ginnasio fu con lui: entrò in classe, si presentò e ci fece una domanda a bruciapelo: “Cos’è per voi la bellezza?”. Quel primo approccio – racconta Caracciolo – ci fece affezionare alla sua figura e alle sue lezioni».

Modi garbati, anima nobile. Marino era ben voluto anche dai suoi colleghi, come Filippo Motta, che ha affidato a MeridioNews il suo ricordo: «Ti avvolgeva con il suo eloquio sommesso, ti travolgeva con l’altezza del suo amore per il prossimo, per la bellezza, per la purezza. Ma non era sempre facile stargli vicino. Volevi incontrare le sue passioni, ma spesso non riuscivi a contenere l’intensità del suo trasporto – spiega il docente -. Volevi raggiungere i suoi pensieri, ma non sapevi inseguire la velocità dei suoi voli. Cercavi di entrare nel labirinto dei suoi pensieri, ma era lui a trasmetterti i suoi tormenti». Motta lo paragona all’albatros di Baudelaire, «aduso a librarsi tra cieli e mare, ma destinato agli insulti della ciurmaglia, quando si fosse posato sulla tolda di una nave. Lo amareggiava – continua – che non tutti capissero il suo amore per una chiesa del suo paese, o la sua felicità per la scoperta di certi dipinti in una chiesetta sui Nebrodi. Lo amareggiava che non tutti condividessero il suo amore, talvolta estremo, per gli altri, per i poveri, per i dimenticati dall’umanità».

Amore che trapelava anche tra i banchi di scuola, come testimonia Fabrizio: «Girava voce che invitava i poveri a pranzare nella sua casa di Francofonte, anche se era soltanto una voce di corridoio non dubitavo che accadesse realmente, perché Marino aveva un animo molto sensibile e non stava mai sul piedistallo. Ricordo che una nostra compagna di classe aveva dei problemi in famiglia perché i suoi genitori si stavano per separare, e lui appena venne a saperlo si premurò a farle forza e consigliarle come affrontare la situazione a casa. È l’unico professore – ammette – del quale conservo tutt’oggi il lato umano».

Chi lo ha conosciuto lo descrive come un «maestro di vita», che spiegava l’importanza dell’arte nella quotidianità. Un artista a tuttotondo, che dipingeva, suonava Chopin con l’organo e che con i propri alunni non aveva mai un rapporto scontato: «Non vedevamo l’ora che entrasse in classe, perché la sua non era la solita lezione accademica – sottolinea Caracciolo -. Seguiva il senso logico dei libri ma poi divagava a modo suo nell’ambito dell’arte, la sua materia, ed era bello apprendere da lui, per noi ascoltarlo era ogni volta una nuova esperienza».

Sono passati 26 anni dalla scomparsa di Giovanni Marino, anche conosciuto come Gianni. Nell’ultimo periodo quell’uomo straordinario descritto da chi lo ha conosciuto non c’era più, si andava spegnendo, soffocato da una forma depressiva. Un tasto dolente per i tanti giovani, oggi affermati professionisti, che sono passati dalle sue cattedre, e anche per il collega Motta, che racconta come ha vissuto il giorno in cui il suo collega decise di lasciare la vita terrena. «Ci eravamo salutati come sempre: qualche sorriso da sabato stanco, due battute sul riposo del fine settimana, qualche finta lamentela sui ragazzi che non studiano abbastanza – dice l’insegnante -. Con un cenno e un altro sorriso, mi lasciò scendere velocemente da solo dall’ultimo piano del liceo. Lui, chissà perché, si trattenne. Una telefonata concitata mi fece tornare a scuola, angosciato e stranito. Lo vidi per l’ultima volta. Ci ha dimostrato inconsapevolmente quanto siamo distratti e piccini quando ci rinchiudiamo nel nostro piccolo mondo privato».

Danilo Daquino

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