L’emicrania, questa ‘sconosciuta’

di Rossella Catalano

Chi tra noi non ha mai pronunciato le parole “mi scoppia la testa”? E quante volte, davanti a questa affermazione, i nostri colleghi, amici, familiari, hanno prontamente girato le spalle o non ci hanno nemmeno ascoltato? In fondo, un mal di testa, che ti scoppi o no, è solo un mal di testa, un fastidio tanto frequente quanto comune che spesso non viene degnato della minima attenzione.

In effetti, il più delle volte si tratta solo di un banale e passeggero mal di testa. Succede, però, in alcuni casi, che il dolore è così acuto da impedire persino lo svolgimento delle normali attività quotidiane. Un dolore che, se non viene trattato adeguatamente, può durare dalle tre alle quattro ore consecutive fino a protrarsi per giorni interi. Un dolore talmente insopportabile che urla più di qualsiasi parola e che trasforma la vita di chi ne è affetto in un vero e proprio calvario.

Secondo le statistiche, circa un quarto della popolazione soffre di questa strana forma di cefalea, comunemente detta emicrania: una parola semplice da pronunciare, ma ancora difficile da comprendere. Sembra, infatti, che ancora oggi l’emicrania sia una patologia poco conosciuta. Ne soffrono circa sei milioni di italiani, eppure resta ancora una malattia “invisibile”.

In Italia la normativa in materia risulta ad oggi ancora carente. Solo la Lombardia ha recepito il principio che riconosce ai pazienti emicranici la possibilità di ottenere l’invalidità civile. Chi è affetto da tale patologia infatti, è costretto a convivere, non solo con un dolore che non lo abbandona mai e che, nei casi più gravi, limita ampiamente la vita, ma deve anche fare i conti con una società che non ha ancora riconosciuto i problemi di questa malattia.

Sono malati incompresi, che spesso vengono additati come “malati immaginari”: quelli che si lamentano tanto per lamentarsi, che cercano una scusa per non andare al lavoro, quelli per i quali ogni scusa è buona per non far nulla o, peggio, quelli che è meglio non ascoltare perché non hanno nulla di cui preoccuparsi.

Proviamo a immaginare di svegliarci un mattino qualunque di un qualunque giorno con una strana sensazione di affaticamento associato a un limitato campo visivo e accompagnato da una brutta sensazione di nausea. Proviamo ancora a immaginare se a questi effetti cosiddetti “prodromici” (disturbi che preannunciano l’attacco emicranico) segua, poi, una crisi emicranica vera e propria, cioè un dolore acuto, localizzato nella zona direttamente vicina alle tempie, alla fronte e agli occhi. Un dolore tanto insopportabile da impedirci di svolgere persino il gesto più banale come guidare un’automobile o lavorare davanti a un computer.

Se vi è capitato o se solo lo avete immaginato, l’unico pensiero che riuscirete a elaborare è: “Speriamo che non mi capiti più” o, viceversa: “Speriamo non mi capiti mai”.

Chi soffre di emicrania sa che, al massimo, può sperare che la prossima volta (perché per l’emicrania c’è sempre una prossima volta) la crisi abbia una durata più breve o il dolore sia meno acuto.

I pazienti emicranici non sono affatto malati immaginari, ma persone apparentemente sane che soffrono di un disturbo molto doloroso e che, anche se non uccide, può rendere la loro vita un inferno.

“Quando il dolore è particolarmente acuto – ci spiega il Professore Filippo Brighina, neurologo presso Azienda Universitaria Policlinico di Palermo – può impedire lo svolgimento delle normali attività quotidiane”.

«L’emicrania – osserva ancora Brighina – ha prevalentemente origini genetiche, colpisce uomini e donne tra i 20 ai 50 anni, e solo in tarda età gli effetti possono ridursi o scomparire del tutto. I fattori scatenanti possono essere molteplici: più comune lo stress, ma anche una cattiva nutrizione, oltre a fattori ambientali e a cambiamenti ormonali”.

Al di la di tutte le spiegazioni scientifiche che riguardano la malattia, va sottolineata l’importanza del riconoscimento dell’emicrania come malattia sociale.

“Chi soffre di questo disturbo – afferma il professore Brighina – oltre a sentirsi isolato e incompreso, è convinto che non si possa far nulla e che si debba convivere con il dolore. Esistono, invece, dei metodi farmacologici che possono controllare, attenuare e/o prevenire la crisi emicranica e quindi migliorare la qualità della vita”.

Ad oggi, secondo alcune stime, oltre il 50 per cento dei soggetti emicranici non si è mai rivolto al medico. E’ necessario dar voce a quella che oggi può essere considerata una vera e propria “problematica sociale”. Riconoscere l’emicrania e ogni forma di cefalea cronica, significa dare una speranza a tutte quelle persone che hanno fatto del dolore un compagno di vita, perché costretti a conviverci.

Urge una maggiore sinergia tra medici, pazienti e famiglie, ma anche una maggiore comprensione da parte della società, perché il dolore di chi soffre non debba mai essere messo tacere.

 

 

 

Redazione

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