Le sale della generazione di passaggio «Tutti abbiamo avuto un Cinema Paradiso»

Appartengo a una generazione di passaggio: la prima che vide arrivare in casa la televisione e l’ultima, credo, per la quale i film si vedono al cinema. Poter andare al cinema da soli era un privilegio da maschi, a partire più o meno dagli undici anni. Ci era concesso soltanto nei fine settimana ed era un rito fisso. Probabilmente, tra gli undici e i tredici anni, ho visto duecento film. I western, innanzi tutto: da I magnifici sette a Per un pugno di dollari di Sergio Leone, agli ultimi di John Ford (L’uomo che uccise Liberty Valance e Il grande sentiero). Perché è inutile dire che volevamo una vita come quella di Clint Eastwood e di Steve McQueen. Comunque vedevamo di tutto: dai primi 007, ai film di guerra come La collina del disonore e La grande fuga, ai kolossal come Spartacus di Stanley Kubrick, ai musical come My fair lady e persino al Gattopardo di Visconti, senza sospettare neppure lontanamente che potesse trattarsi di un film d’autore.

Perciò credo che ognuno di noi abbia avuto i propri Cinema Paradiso. I miei, senza dubbio, furono le due sale di seconda visione di Picanello, il quartiere presso il quale abitavo: Messina e Recupero. Il primo aveva il vantaggio di proporre due film con un solo biglietto. Mentre nel secondo poteva succedere che la cassiera e la maschera chiudessero un occhio lasciandoci passare per qualche film vietato ai minori di sedici anni. Grazie a loro, assieme a mio cugino, riuscimmo a vedere Gli uccelli di Hitchcock e il film più erotico della mia vita: Angelica alla corte del re, con la bellissima Michèle Mercier che appariva seminuda in una sequenza di cinque secondi (infatti lo vedemmo tre volte).

Dotati di una vasta sala e di una tribuna quasi altrettanto capiente, coi sedili tutti in legno, Messina e Recupero avevano uno schermo enorme. C’era però il guaio che la tela non fosse del tutto immacolata. E ciò, in qualche caso, fu fonte di equivoci. Nella sequenza di Lawrence d’Arabia in cui c’è una lunghissima inquadratura a camera fissa sulle dune del deserto, mentre l’audio attacca col rombo crescente della cavalcata e delle prime urla di combattimento, gli spettatori si misero a puntare ansiosamente la parte in alto a destra. Sembrava che, proprio lì, si cominciasse a scorgere la nuvola di polvere della carica imminente. Invece lo squadrone guidato da Peter O’Toole arrivò all’improvviso dalla parte opposta. Per più di dieci secondi avevamo fissato invano una macchia gialla dello schermo.

 

[Foto di Il fatto quotidiano]

Luciano Granozzi

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