Le riforme costituzionali con le ‘minacce’: Renzi non fa paura a nessuno

L’ATTUALE CAPO DEL GOVERNO VORREBBE RIFORMARE LA ‘CARTA’ DEL NOSTRO PAESE IN FRETTA E FURIA. MA, GLI PIACCIA O NO, SI DOVRA’ DARE UNA CALMATA. GIA’ DI ERROTI, IN QUESTI DELICATO SETTORE, LA POLITICA ITALIANA NE HA COMMESSI TANTI, MEGLIO SOPPESARE PURE LE VIRGOLE

Un Ernesto Galli della Loggia particolarmente accorato ci chiede: «Che razza di Paese è quello in cui le migliori energie intellettuali non esitano a tradurre la loro legittima passione politica in pura faziosità, ignorando decenni (decenni!) di studi, di discussioni, di lavori di commissioni parlamentari, che hanno messo a fuoco in maniera approfonditissima i limiti del nostro impianto costituzionale di governo?» (editoriale titolato “I sacerdoti del non si può” nel quotidiano “Corriere della Sera”, edizione del 30 marzo 2014).

L’argomento “è decenni che se ne discute”, tanto caro all’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, contiene una verità e due bugie: è vero che tanto la Forma di governo, quanto la Forma dello Stato, disegnate dalla Costituzione della Repubblica italiana sono state messe in discussione. E’ però falso che ci sia concordia di vedute nell’analisi, ossia nell’individuazione dei motivi che imporrebbero un cambiamento. E’ ancora più falso che ci sia concordia di vedute nelle soluzioni, ossia nei modelli alternativi da inserire in Costituzione al posto degli attuali.

La realtà è complessa, la società è complessa, le culture politiche sono articolate; quindi risorge periodicamente nei semplificatori la tentazione di tagliare i nodi più aggrovigliati con un colpo di spada. Basta chiacchiere, bisogna affidarsi a chi non subisce la realtà, ma la vuole modificare. A tutti i costi. Come avvenne nel mito di un grande condottiero, conquistatore e costruttore di imperi: Alessandro il macedone, detto appunto “Magno”. Ricordo a me stesso il saggio “Der gordische Knoten”, in italiano “Il nodo di Gordio”, di Ernst Jünger, in cui, tra l’altro si legge: «Le istituzioni libere hanno lo svantaggio di essere gestite da molte teste e molte idee. I movimenti che dipendono da trattative, interessi, alleanze incerte sono, di necessità, più deboli di quelli condensati da una sola volontà» (si veda Ernst Jünger – Carl Schmitt, “Il nodo di Gordio”, a cura di Carlo Galli, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 46). Jünger, autore ostile al liberalismo ed alla democrazia, fu fautore del decisionismo e dell’autorità del Capo. Inizialmente vicino al nazional-socialismo tedesco, che poi criticò in nome di una concezione aristocratica.

I teorici ed i sostenitori della liberaldemocrazia rovesciano completamente questa impostazione: il conflitto non è un male, ma è ciò che continuamente pone i detentori del potere come di fronte ad uno specchio e li costringe a rendere conto delle proprie decisioni. Il contrasto delle idee è sempre fecondo e aiuta tutti ad allargare i propri orizzonti, quindi a crescere intellettualmente e spiritualmente. La diversità delle opinioni serve a far sì che si possa arrivare a decisioni più ponderate, dove tutti gli elementi a favore e contro un determinato provvedimento siano stati considerati e infine risolti in una sintesi accettata da una maggioranza numericamente adeguata per adottare una decisione. Il pluralismo culturale e sociale arricchisce una comunità sociale, laddove, al contrario, semplificare può significare ricondurre ad uniformità, quindi impoverire.

La Germania guglielmina, nel periodo precedente la prima guerra mondiale, era una potenza economica, industriale, militare, all’avanguardia nella scienza e nella tecnica, ma era un “nano” politico: comandava l’imperatore, il Kaiser. Cancelliere e Governo erano nominati dal Kaiser e potevano da lui essere licenziati in qualsiasi momento. Il Parlamento era poco più che un Organo consultivo. Fu così che il Kaiser assunse le proprie decisioni ascoltando i suggerimenti degli alti comandi militari e la Germania, fino ad allora potenza in ascesa negli equilibri mondiali, andò incontro ad una sconfitta rovinosa nella prima guerra mondiale. La morale è che chi decide da solo decide velocemente, ma non sempre saggiamente; e, se sbaglia, non ha di fronte a sé alcun Organo che possa correggere i suoi errori. Il popolo ne paga le conseguenze.

La liberaldemocrazia non ama i costruttori di imperi e respinge la logica stessa dell’imperialismo. L’idea della libertà repubblicana è ben più antica di Cesare e dell’Impero romano. La repubblica deve fondarsi sulle virtù repubblicane diffuse fra i cittadini, in primo luogo l’amor di Patria, come insegnò Montesquieu. Quando, durante gli anni della dittatura fascista in Italia, studiosi come Benedetto Croce, Adolfo Omodeo, Meuccio Ruini, cercarono, come lascito teorico per le successive generazioni, di mettere in luce il periodo iniziale del liberalismo europeo, fissarono la propria attenzione sulla personalità e l’opera di una donna straordinaria, Madame de Staël, che aveva svelato le caratteristiche tiranniche dell’imperialismo di Napoleone Bonaparte e che fu come l’incarnazione vivente di una lotta senza quartiere contro Napoleone, condotta in nome della libertà, non in nome dell’oscurantismo.

E’ molto comodo raccontare la favoletta che in Italia finalmente si è manifestato il nuovo Demiurgo, al secolo Matteo Renzi, il quale vuole tutto innovare e tutto riformare. Nella medesima favoletta quanti si oppongono a cotanto Demiurgo vengono descritti come “conservatori costituzionali”; ma piace utilizzare nei loro confronti anche espressioni come “palude”, “resistenze corporative”, eccetera.

Ricordo agli smemorati che l’attuale Costituzione della Repubblica italiana non è la stessa che entrò in vigore il primo gennaio del 1948.

Vediamo di ripercorrere le più salienti modifiche.

— Legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1: riguarda la Forma di governo delle Regioni. Ha il torto di avere demandato alle leggi regionali la disciplina del sistema di elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale, nonché dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità (modica dell’articolo 122 Cost.). Soprattutto, ha il torto di avere affermato un modello di Forma di governo presidenziale che pone il Consiglio regionale, ossia l’Assemblea rappresentativa, in un ruolo subordinato rispetto al Presidente della Regione direttamente eletto dal Corpo elettorale. Al punto che è stabilito quanto segue: «l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie» (comunque motivate) del Presidente della Regione comportano lo scioglimento del Consiglio regionale (modifica dell’articolo 126 della Cost.). Come se questo non avesse una sua fonte di legittimazione democratica.

— Legge costituzionale 23 gennaio 2001, n. 1: ha modificato gli articoli 56 e 57 della Costituzione, prevedendo che dodici deputati e sei senatori siano eletti in una Circoscrizione Estero. Con tutto il rispetto per la memoria dell’ispiratore di quella riforma, l’onorevole Tremaglia, resta il ridicolo di avere suddiviso il mondo in circoscrizioni elettorali del Parlamento italiano, riconoscendo il diritto di voto anche a cittadini di altri Stati, i quali magari non parlano neppure più la nostra lingua.

— Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3: recante modifiche al Titolo quinto della Parte seconda della Costituzione. Questa legge costituzionale fu approvata da una maggioranza parlamentare di Centrosinistra. Si disse che mutava la Forma dello Stato italiano in senso federale; anche se lo Stato italiano aveva già un assetto istituzionale articolato in venti Regioni, cinque delle quali dotate di speciale autonomia. Quella legge fu fatta per compiacere la Lega Nord. Furono previsti quattro livelli di governo territoriale: Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni (modifica dell’articolo 114 Cost.). Si affermò che ciascuno dei quattro predetti livelli di governo territoriale avesse «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» (modifica dell’articolo 119 Cost.). Il tutto senza preoccuparsi minimamente di promuovere un riordino dei Comuni esistenti, molti dei quali impossibilitati, per le ridotte dimensioni demografiche, a svolgere i compiti di istituto. Vennero eliminati il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione esercitato da un organo dello Stato (modifica del’articolo 125 Cost.) ed il controllo di legittimità sugli atti delle Province e dei Comuni esercitato da un organo della Regione (abrogazione dell’articolo 130 Cost.). Venne eliminata la figura del Commissario del Governo che in ciascuna Regione doveva apporre il visto sulle leggi approvate dal Consiglio regionale (modifica dell’articolo 127 Cost.). Con la conseguenza che tutte le leggi regionali sono promulgate e pubblicate ed, eventualmente, il Governo della Repubblica, entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale.

Inutile esaminare puntualmente tutti gli inconvenienti determinati dalla legge costituzionale n. 3/2001. Basti ricordare che il contenzioso dinanzi alla Corte Costituzionale è aumentato esponenzialmente. Che il malcostume politico ed amministrativo nelle Regioni e negli Enti locali è stato incoraggiato dal riconoscimento di maggiore autonomia decisionale, anche conseguente all’eliminazione del sistema dei controlli prima previsto. E’ lo stesso Presidente del Consiglio in carica ad avere proposto una nuova modifica del Titolo quinto della Costituzione. Con ciò riconoscendo ufficialmente che la riforma del 2001 non ha dato i risultati sperati. Personalmente sarei interessato pure ad un giudizio politico sulla qualità del riformismo dei decisori politici di allora.

— Legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1: riguarda l’introduzione del principio del pareggio di bilancio in Costituzione. Ha avuto un iter parlamentare da record, per la brevità dei tempi. Prima approvazione da parte della Camera il 30 novembre 2011. Prima approvazione da parte del Senato il 15 dicembre 2011. Approvazione, in seconda lettura, da parte della Camera il 6 marzo 2012. Approvazione definitiva da parte del Senato, in seconda lettura, il 17 aprile 2012. Non si è svolto il referendum confermativo, perché tanto la Camera, quanto il Senato, hanno approvato con una maggioranza superiore ai due terzi dei propri componenti. E’ strano come di questa riforma costituzionale, che potrebbe essere citata ad esempio perché realizzata in meno di cinque mesi, nessuno abbia voglia di parlare.

Invero quella riforma fu approvata in uno strano clima: con i deputati ed i senatori usi ad obbedir tacendo, come i Carabinieri, i grandi mezzi di informazione quasi silenti, ed i pochi osservatori che, magari tramite la rete Internet, riuscivano ad esprimere qualche critica, trattati come pericolosi sovversivi.

La conclusione da trarre è che in Italia, purtroppo, il riformismo costituzionale è stato molto praticato. Ed ha fatto disastri. Di conseguenza, quando il nuovo Demiurgo chiede che siano prontamente approvate rilevanti riforme costituzionali così come lui le propone, minacciando altrimenti di lasciare la vita politica, gli rispondiamo sommessamente che delle riforme vogliamo soppesare pure le virgole. Quanto al suo eventuale abbandono, l’Italia è sopravvissuta alla morte di un Presidente del Consiglio che si chiamava Camillo Benso di Cavour, figuriamoci se non potrà fare a meno di Renzi.

 

Livio Ghersi

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