L’annuncio della chiusura di uno dei più antichi pastifici della Sicilia – la Tomasello – ha acceso i riflettori sul grano siciliano. Improvvisamente la politica della nostra Isola si è ricordata che dalle nostre parti si produce grano duro. E pazienza se oggi molti politici siciliani non conoscono nemmeno la differenza tra grano duro e grano tenero. L’importante è parlarne. Noi, per raccapezzarci un po’, siamo andati a intervistare un agricoltore siciliano la cui famiglia si occupa da generazioni di produzioni agricole. Cosimo Gioia – questo il suo nome – oltre che agricoltore, è stato anche impegnato nel sociale. Il passato Governo regionale – erano i tempi di Raffaele Lombardo – lo ha nominato dirigente generale dell’assessorato all’Agricoltura. Ma lì è rimasto poco. Proprio perché, sostiene, aveva iniziato a fare chiarezza sugli intrighi che stanno dietro il grano in Sicilia.
Cominciamo dalla chiusura del pastificio Tomasello e dalle dichiarazioni dei politici siciliani.
«Sono davvero trasecolato dalla dichiarazione del nuovo assessore all’Agricoltura, avvocato Nino Caleca, sulla vicenda Tomasello. Certe dichiarazioni sono davvero gravi e rappresentano l’inconsistenza e l’incompetenza dell’attuale governo siciliano nel settore agricolo. Quanto alla vicenda Tomasello, beh, mi astengo dal commentare, perché sono convinto, al di fuori dei tecnicismi economici che ognuno vuole porre, che altre sono le cause della crisi di questo pastificio storico. Poi se volete davvero entrare nel merito della crisi del settore possiamo parlarne, ma tutte le grandi famiglie imprenditoriali alla fine entrano in crisi».
Torniamo alla politica.
«L’assessore Caleca se la prende con l’aumento del prezzo del grano duro e vuole indagare. Vuole capire dov’è finita la differenza di prezzo, visto che la qualità non è aumentata. Ma stiamo scherzando? Alle banche, egregio assessore. È lì che è finita la differenza. Quelle banche alle quali gli agricoltori siciliani pagano i debiti che hanno contratto nei decenni passati, quando il grano aveva un prezzo irrisorio che a coltivarlo non si pagavano nemmeno le spese vive. Nessun mafioso e nessuna lobby comanda in questo settore produttivo. È una semplicissima legge di mercato: diminuisce l’offerta ed aumenta la domanda e quindi il prezzo sale. Semplicissimo, caro avvocato Caleca, legge di mercato, niente di inquietante. Era quello che tutti gli agricoltori si aspettavano. Altro è il discorso della commercializzazione».
Possiamo entrare nel dettaglio?
«Certo. A 25 centesimi di euro al chilogrammo si pagano le sole spese di coltivazione e da lì comincia il guadagno. Cosa che succede per la prima volta quest’anno con il prezzo del grano a 40 centesimi al chilogrammo. Perché, mi chiedo, nessun politico si era mai preoccupato del prezzo del grano duro quando questo era 18-20 centesimi dicendo che era troppo basso? Strano, molto strano leggere che del prezzo attuale del grano se ne occupa anche l’onorevole Magda Culotta, che a Pollina avrà visto solo manna e nocciole e grida che il prezzo del grano duro siciliano è alto! Inconcepibile. Purtroppo siamo governati da questi personaggi e dobbiamo ascoltarli».
Dicono che la qualità del grano duro siciliano non è più quella di una volta. Cosa c’è di vero?
«Di vero c’è che per anni, come ho già raccontato, il prezzo del grano duro siciliano garantiva a malapena la copertura dei costi. Così alcuni agricoltori hanno lasciato perdere. Mentre altri hanno puntato sulle alternative. Penso alle biomasse. Alla fine produci erba con la quale si produce energia. Senza concimazione, senza operazioni colturali. Senza fare niente ci guadagni di più rispetto al grano duro, che invece è fatica. Così la superficie a grano duro della Sicilia si è ridotta di circa il trenta per cento».
E la qualità?
«Quando il grano duro siciliano si vendeva a meno di 20 centesimi di euro al chilogrammo, e quindi si coltivava in perdita, alcuni agricoltori non effettuavano più le operazioni culturali. Raccoglievano quello che la pianta produceva e basta. Perché avrebbero dovuto spendere soldi per operazioni colturali e lavoro se facendo un buon prodotto avrebbero perso lo stesso? I politici siciliani che oggi parlano del grano duro siciliano, della qualità, non conoscono questo mondo. Non è stato sempre così, per carità. La Sicilia ha avuto anche politici preparati, che sapevano e capivano anche di agricoltura. Oggi, invece, siamo al disastro».
Alla fine anche lei ammette che la qualità, in alcuni casi, è scaduta.
«L’ho detto: se perdo soldi sia producendo bene, sia producendo male, perché devo spendere soldi per produrre bene? Ma se gli agricoltori siciliani vengono messi nelle condizioni di ben operare, e oggi con il prezzo a 40 centesimi al chilogrammo le condizioni ci sono, il grano duro siciliano è di altissima qualità, con una percentuale di proteine che va dal 12 al 14 per cento. Il nostro grano duro, per clima e latitudine, è di gran lunga il più salubre e assolutamente privo di micotossine rispetto a tutti gli altri. Anzi, questa è l’occasione giusta per portare avanti un progetto, che a suo tempo avevo proposto, di valorizzazione del grano duro siciliano…».
Siamo arrivati alla sua esperienza di dirigente generale. Lei, questo lo ricordiamo, ha iniziato a lavorare per fare chiarezza sul grano duro siciliano. Ce ne parli.
«Quando mi sono insediato all’assessorato regionale all’Agricoltura ho appurato che i pastifici siciliani che utilizzavano il grano duro siciliano si contavano sulla punta delle dita, compresa la Tomasello. E che la stragrande maggioranza del grano arrivava, e arriva ancora oggi, con le navi. Così ho disposto i controlli sanitari del grano che arriva in Sicilia con le navi. Ho accertato che erano e sono navi assolutamente inadeguate, magari ex petroliere, che trasportano granaglie provenienti da Paesi dove sono state trattate con fitofarmaci pesanti, cioè veleni, fino a prima della raccolta. Grano pieno di micotossine. Grano che arrivava e arriva anche da Cernobyl».
E che è successo?
«Di tutto. Perché questi controlli nell’interesse degli ignari consumatori siciliani che mangiano pane e pasta fatti con grano arrivato da chissà dove non si dovevano attuare. Non bisognava disturbare i due-tre grandi importatori che comandano il prezzo del grano in Sicilia. Sarebbe stato semplice affrontare e risolvere il problema, ma non si è voluto. Avevo pronto il progetto per il marchio del grano duro siciliano. I pastifici siciliani erano d’accordo. Tutti d’accordo, tranne la politica siciliana».
In che senso?
«Nel senso che mi hanno sbattuto fuori. Hanno vinto i due-tre grandi commercianti che oggi continuano a controllare il mercato del grano in Sicilia».
E il presidente Lombardo?
«Mi dava ragione. Mi assecondava. Poi, però, mi ha tolto l’incarico».
Solita storia. Oggi?
«Ancora oggi in Sicilia arrivano le solite navi con il solito grano e i siciliani mangiano. E oggi che, anche grazie alla crisi Ucraina, il prezzo del grano duro siciliano è schizzato a 40 centesimi e forse più, cosa fanno i politici siciliani? Sono preoccupati. Hanno ragione: per loro se gli agricoltori siciliani ci guadagnano è un problema. Forse perché li debbono tenere al cappio. Sono incredibili, gli attuali politici siciliani. Invece di pensare a un marchio del grano duro siciliano, invece di favorire la produzione di pasta e pane con grano duro della nostra terra utilizzando al meglio questa congiuntura internazionale favorevole, si lamentano che il prezzo è alto. Incredibile. Se fossero stati un po’ attenti, seguendo magari Report, saprebbero che già alcuni mesi fa la trasmissione d’inchiesta di Milena Gabanelli aveva previsto che il prezzo del grano sarebbe schizzato a 50 centesimi al chilogrammo. Questo sempre per rispondere a certi politici siciliani».
Ma del suo progetto per controllare la salubrità delle navi cariche di grano che arrivano in Sicilia e del marchio del grano duro siciliano i suoi successori, Salvatore Barbagallo e Dario Cartabellotta, hanno fatto qualcosa?
«Lo chieda a loro».
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