Continuano a sentirsi soli nell’indigazione le famiglie delle vittime delle malattie provocate dall’inalazione di fibre di amianto usate nei Cantieri navali di Palermo. Le vittime di mesotelioma pleurico e asbestosi, che nell’aprile 2010 ammontavano a 37, sono arrivate a 60. Un numero sconvolgente. Se si pensa poi che il tempo di latenza delle malattie causate dall’inalazione dell’amianto è di 35 anni, è palese capire che non si arriverà mai ad una fine. Ciò significa che, in questo lasso di tempo, con certezza ci saranno nuove morti. Non c’è dubbio che sia una strage e che i casi che vengono trattati dalla giustizia sono un piccolo numero rispetto ai casi reali, spiega Fabio Lanfranca, l’avvocato penalista delle famiglie delle vittime, in un’intervista rilasciata a Linksicilia.
Queste morti si potevano evitare, perché la pericolosità dell’amianto, killer invisibile che uccide anche dopo anni, era nota dai primi del ‘900. E perché la legge, dal 1965, impone l’adozione di misure a tutela dei lavoratori che stanno a contatto con le fibre. Invece, come hanno raccontato i sopravvissuti, nei Contieri navali di Palermo si lavorava senza mascherine e con aspiratori che non funzionavano. Le polveri di amianto raccolte sul pavimento venivano semplicemente spazzate, come fossero granelli di polvere. E mancava un servizio di lavaggio delle tute: gli operai le pulivano a casa, mettendo a rischio contagio l’intera famiglia che, inconsapevolmente, veniva a contatto con fibre e polveri di amianto.
Si attende ancora una sentenza definitiva di secondo grado – dice Fabio Lanfranca -. Non dimentichiamo gli ammalati ancora in vita che hanno contratto delle malattie polmonari a causa dell’inalazione dell’amianto mentre svolgevano lavori di carenaggio o a bordo delle navi durante l’orario lavorativo. Per loro non ci sarà mai giustizia. Questo perché i procedimenti penali in loro difesa non sono stati inclusi nella sentenza di primo grado del Tribunale di Palermo. E’ in atto infatti una contestazione giuridica di lesioni colpose. Questo è dovuto in parte ai problemi strutturali causati da un sistema giudiziario troppo lento. Se, infatti, trascorrono sette anni e mezzo da quando si è contratta la malattia, si rischia la prescrizione. Dobbiamo aspettare altre morti per fare giustizia ora?.
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