Il monopolio del trasporto su gomma di prodotti ortofrutticoli, della produzione di pedane e imballaggi e della produzione e del commercio di prodotti caseari conquistato alterando le regole della concorrenza tramite la forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo. Così il clan Trigila avrebbe agito nei territori della zona sud-orientale della provincia di Siracusa tra Noto, Avola, Pachino e Rosolini. Oggi, su delega della Direzione distrettuale antimafia, nell’ambito dell’operazione denominata Robin Hood, polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno eseguito un’ordinanza applicativa di misura cautelare in
carcere, emessa dal gip del tribunale di Catania, nei confronti di
undici soggetti
facenti parte dell’associazione mafiosa
e di altri due ritenuti responsabili dei reati di estorsione
aggravata realizzata con metodo mafioso.
L’attività d’indagine, avviata alla fine del 2016 e condotta fino all’estate del 2018, ha consentito di accertare che, nonostante la
lunga detenzione del fondatore
Antonio Giuseppe Trigila, e di altre figure di
vertice come figlio del boss, il clan avesse continuato a operare con il contributo dei più stretti familiari del capo – la moglie e la figlia – e di uomini di fiducia che si sarebbero occupati delle attività illecite più remunerative. Dal carcere,
Trigila avrebbe mantenuto un rapporto epistolare con il figlio per continuare a impartire le disposizioni per dirigere il sodalizio e mantenere il controllo sul territorio. Dall’indagine, infatti, è emerso che il clan, con aziende capaci di alterare le regole della concorrenza e di acquisire una
posizione dominante grazie al nome, avrebbe penetrato il sistema economico: dall’intermediazione imposta nel settore dei
trasporti dei prodotti agricoli alle estorsioni agli operatori economici e all’acquisizione di fondi agricoli finalizzati alle richieste di contributi europei. Accanto a queste, i sodali avrebbe continuato a portare avanti anche le attività tradizionalmente illecite
come il
traffico di sostanze stupefacenti.
Tra i soggetti in posizione apicale spicca Giuseppe Crispino, ritenuto dagli inquirenti il «vero e proprio reggente in libertà del sodalizio». A lui – arrestato nel luglio del 2018 – sarebbe stata affidata la raccolta dei proventi illeciti
necessari al sostentamento dell’associazione, il pagamento degli stipendi alle famiglie
dei detenuti, la detenzione delle armi e la conduzione delle estorsioni e del traffico di droga. Tra gli uomini ci sarebbe stato anche
U caliddu che, grazie ai contatti con le
aziende di autotrasporti che operavano nella zona sud della provincia e in quella di Ragusa, avrebbe avuto il compito di raccogliere i versamenti di denaro imposti agli
operatori del settore per poter lavorare senza incorrere in problemi. Nello specifico, sono stati accertati t
re episodi di
estorsione
ai danni di operatori del settore del trasporto merci per conto terzi. Con minacce e avvalendosi della forza del vincolo associativo, U caliddu avrebbe impedito ai trasportatori di lavorare liberamente
in quello che egli stesso definiva «il mio territorio».
«Ma chi ve l’ha data questa autorizzazione? – avrebbe detto con tono minaccioso a un imprenditore – Io sto
prendendo i bins e gli sto dando fuoco ora stesso, subito. E qua non ci deve entrare
nessuno, se prima non ve lo dico io,
perché il padrone sono io».
Al nipote di
Antonio Trigila, di recente ritenuto inserito nell’organigramma
mafioso, sarebbero stati affidati l’acquisizione e il controllo dei fondi
agricoli nella ampia zona di competenza del clan Trigila. Peculiari sarebbero state poi la moglie e la figlia di Trigila: profonde conoscitrici delle
dinamiche interne del clan e delle metodologie utili a sviare eventuali investigazioni
da parte delle forze di polizia, come emergeva dal costante ricorso al linguaggio
convenzionale utilizzato nel corso dei colloqui. Nel corso dell’indagine, le donne avrebbero svolto il delicato compito di
veicolare
gli ordini del congiunto
utili all’organizzazione e alla gestione delle attività. Quando si rendeva necessario, inoltre, sarebbe anche intervenute in prima persona.
Attorno alle figure apicali, ci sarebbe stato poi un nutrito numero di fiancheggiatori e
facilitatori
che spesso si sarebbero limitati a fornire un contributo per veicolare le
informazioni e fissare gli appuntamenti tra i sodali. Un apporto svolto con piena consapevolezza, che avrebbe consentito agli uomini del clan di
non esporsi.
Infine, alla base del gruppo, avrebbero operato anche alcuni soggetti con mansioni esecutive: le azioni intimidatorie e violente per le richieste estorsive.
L’arresto di Giuseppe Crispino, trovato
in possesso di circa
650 grammi di cocaina e di quattro pistole perfettamente funzionanti
illegalmente detenute, sarebbe stata la prova lampante di come il sodalizio fosse ampiamente
operativo.
Nonostante la lunga detenzione, a condurre il clan e le sue attività illecite sarebbe stato ancora Antonio Giuseppe Trigila. «Loro dicono per mafiosità, invece io sono un contrasto dello Stato». Così, avrebbe spiegato a una delle nipoti la sua attività. Il comando provinciale della guardia di finanza di Siracusa ha eseguito il
sequestro preventivo di 18.171 euro, individuata come profitto di
truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche.
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