Le ‘linea rossa’ di Monti

New York

Questo articolo viene pubblicato contemporaneamente su America Oggi 

Parole scandite lentamente nel suo inglese da professore: “Should there be circumstances in which they were to believe that I could serve helpfully after that period of the elections, I will be there. I will consider. I cannot preclude anything…. My spirit for service was there when I was asked by the president. I do not foresee that a second occasion would be needed. (But) I will be there.”

Le lasciamo nell’originale per i nostri lettori, perché non vorremmo che nella traduzione si perdesse la benché minima sfumatura di un significato chiaro: Mario Monti non prevede – e fa capire, in una successiva conferenza stampa, anche di non augurarsi – che ci sarà bisogno ancora di lui al governo, ma se dopo le prossime elezioni di primavera, dalla competizione tra i partiti non uscisse un vincitore chiaro e capace di formare una maggioranza, e quindi fosse necessario un capo del governo ancora una volta “neutrale” capace di convogliare l’appoggio di forze politiche altrimenti in competizione, lui sarebbe pronto al bis. Cioè Monti da New York rassicura che in quel caso il Presidente della Repubblica Napolitano potrebbe contare ancora una volta sul suo “spirit of service” per governare l’Italia.

Queste frasi, pronunciate poco dopo le nove del mattino da Monti tra le mure dell’autorevole Council on Foreign Relations di New York, hanno portato in fibrillazione le segreterie dei partiti italiani mentre, allo stesso tempo, hanno fatto tirare un sospiro di sollievo tra le cancellerie europee e, soprattutto, alla Casa Bianca.

Qualcuno in Italia ha accusato subito Monti di volere una “dittatura strisciante”. Altri hanno intimato che dovrebbe scendere in campo e candidarsi. Ma Monti non ci è apparso per nulla interessato alla “lotta politica”. Ma per l’interesse nazionale dell’Italia, non poteva che rispondere come ha fatto alla domanda posta a New York.

Già, immaginate solo per un attimo cosa sarebbe successo se invece Monti, in inglese e tra le mure di uno dei più influenti “think thank” di politica internazionale, avesse detto tutto il contrario. Cioè se il premier italiano avesse risposto alle domande insistenti di David M. Rubestein, cofondatore del Carlyle Group e che in quel momento lo intervistava con tanti influenti pezzi da 90 della finanza americana che ascoltavano, con un secco “no”. Ecco, se Monti avesse risposto così: “No, non tornerò mai più al governo, mi è bastata una volta, sono senatore a vita e mi potrò godere i nipoti”. Immaginate un po’, cosa sarebbe successo?

Ascoltando il duetto in sala, abbiamo notato subito come Rubestein fosse stato molto chiaro nel preparare le sue domande. Era stato spiegato al pubblico che Monti non avrebbe partecipato alla competizione elettorale per nessun partito (che non si sarebbe candidato infatti Monti lo aveva già detto alla Amanpour della Cnn e a Charlie Rose sulla Pbs). Quindi, si doveva spiegare subito a chi già nei salotti Usa che contano temeva il ritorno dell’instabilità di governo nel Paese chiave per la salvezza dell’euro e dell’Ue, che se le cose si fossero messe male il professore sarebbe potuto tornare al governo. Solo un’eventualità, certo, ma che questa non potesse essere esclusa del tutto.

Perché se Monti invece avesse risposto con un secco “no”, e intendiamoci, detto non ai microfoni di “Porta a Porta” o “Ballarò”, ma al Council on Foreign Relations, quel suo rifiuto avrebbe inviato una colossale scossa d’incertezza a Washington nei confronti dell’Italia, così come avrebbe fatto tremare gli equilibri della Merkel a Berlino. Inutile aggiungere che lo spread dell’Italia sarebbe andato nuovamente in caduta libera.

Questo significa che Obama e Merkel per il futuro dell’Italia e dell’Ue per ora si fidano “solo” di Monti e lo vogliono imporre? Per carità. Certo, il Professore della ‘Bocconi’ piace tanto a chi conta nel mondo, ma il capo del governo tenteranno di sceglierselo prima gli italiani, è un loro diritto. Concetto che lo stesso Monti ha ribadito più volte a New York. Ma esiste oggi una legge elettorale in Italia che garantirà una maggioranza di governo? Ci sono alleanze e semplificazioni tra i partiti che la agevoleranno? O invece la possibilità finora più concreta è che gli italiani il giorno dopo le elezioni, esprimeranno nella migliore delle ipotesi una maggioranza incerta, con un leader di partito (Bersani o Berlusconi compresi) che si ritroverebbe a Palazzo Chigi paralizzato dalla certezza, quella sì assoluta, di cadere alla prima riforma?

E’ questa eventualità che fa tremare chi vuole salvare l’euro e la stabilità di un sistema economico globale che, già in crisi per mille altre ragioni, non reggerebbe l’urto.

Ieri il premier israeliano Netanyahu ha ribadito all’Onu la necessità che sul nucleare iraniano si tracci una “linea rossa” per salvare la pace, perché l’Iran non la oltrepasserà con la certezza delle conseguenze. Monti ieri ha fatto lo stesso, non ha oltepassato quella linea rossa che conserva la fiducia del Mondo sulle possibilità dell’Italia. L’Italia resta una democrazia e avrà nel 2013 la possibilità di far emergere un governo espresso dal voto della maggioranza dei suoi cittadini. Ma se dal risultato elettorale non emergesse una maggioranza in grado di governare, niente paura, il mondo si tranquillizzi. La linea rossa dell’ingovernabilità italiana nel momento che l’Europa non può assolutamente permetterselo, non sarà oltrepassata. In quel caso, c’è Monti.

 

 

Stefano Vaccara

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