Le assenze in aula bunker nel giorno dedicato a Falcone Salvini: «All’estero chiamano noi per parlare di antimafia»

«Quando devono parlare di antimafia all’estero chiamano i nostri esperti». Non poteva non mettere un po’ di orgoglio italico il vicepremier Matteo Salvini, nel suo discorso all’interno dell‘aula bunker di Palermo dove si stanno svolgendo le commemorazioni per il 27esimo anniversario della strage di Capaci. E mentre in città spuntano tanti lenzuoli che contestano la sua presenza, la consueta cerimonia a ricordo di Falcone, Morvillo e gli agenti della scorta quest’anno però è contrassegnata dalle tante assenze: dal presidente della Regione Nello Musumeci al presidente della Commissione Antimafia all’Ars Claudio Fava. E ultimo, in ordine di tempo, anche il sindaco di Palermo. Orlando si è defilato dall’ingresso all’ultimo momento, nonostante fino a pochi giorni fa avesse promesso di esserci e avesse dichiarato che al massimo non avrebbe salutato Salvini, col quale è in rotta di collisione da tempo tempo. 

«Mi ero augurato – ha dichiarato Orlando – che qualsiasi presenza istituzionale oggi a Palermo e all’aula bunker non si trasformasse in occasione per comizi pre-elettorali. Ho appreso che purtroppo non sarà così col previsto intervento di chi solo tre giorni fa ha attaccato i magistrati siciliani. Il dovere di rispettare la memoria di quell’aula, del pool antimafia che vi realizzò il primo maxi processo, del Comune di Palermo che a quel processo per la prima volta si costituì parte civile; soprattutto il dovere del rispetto della memoria di chi si è battuto a costo della vita contro ogni violenza e violazione dei diritti e del diritto, quel dovere mi impone di non essere presente all’aula bunker purtroppo trasformata in piazza per comizi. Sarò oggi nelle piazze della città con i cittadini di Palermo e con gli studenti di tutta Italia, sarò lì dove si renderà doveroso omaggio istituzionale e umano alla memoria delle vittime».

Assenze forti, dunque, che i presenti in aula bunker hanno scelto di commentare. «Le polemiche non devono esistere perché dividono e creano isolamento – ha detto Maria Falcone, sorella del giudice ucciso 27 anni fa – La cosa bella di cui parlare sono questi giovani che vengono a Palermo per ricordare Giovanni e Paolo, e per parlare di legalità e lotta alla mafia. Le polemiche creano grossissimi problemi all’antimafia e sono un premio per la mafia». La sorella del magistrato ucciso a Capaci ha quindi ricordato le parole pronunciate ieri dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Come ha detto il presidente, dico anche io che ce la faremo. Sconfiggeremo la mafia». 

Alla cerimonia è presente anche il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Che, sollecitato dai numerosi cronisti presenti, ha rilasciato una battuta sulle assenze in aula bunker. «Non ho intenzione di commentare scelte e decisioni che sono di altri – ha detto – Siamo qui e siamo qui non soltanto per noi ma per le nuove generazioni che rappresentano il futuro di questo Paese». Paradossalmente, l’unico che non ha commentato le defezioni istituzionali in aula è colui che con la sua presenza le ha create, ovvero Salvini.  «La nuova sede dell’Agenzia dei beni confiscati l’ho inaugurata a casa mia, a Milano – ha detto – perché non ci sono più confini. Sia chiaro agli italiani che non ci sono più alcune regioni mafiose e altre esenti. La mafia ce l’abbiamo sotto casa. Questi sono dappertutto e dobbiamo beccarli dappertutto.  La mafia ormai è ovunque, non appartiene più solo a pochi luoghi, e bisogna saper denunciare perché chi tace è complice. Ogni giorno che il buon Dio manda in terra prego per gli uomini delle scorte, che hanno nomi meno noti, che non sono ricordati, ma che hanno scelto un mestiere difficile. Oggi ci sono circa 2.200 poliziotti e finanzieri che rischiano la vita per proteggere persone a rischio, li ricordiamo e ringraziamo. Penso che chi ha ucciso quelle persone abbia tolto la vita e abbia provocato un dolore immenso ai familiari ma abbia svegliato il popolo italiano. Quel sacrificio è valso il risveglio di un popolo, nulla è stato più come prima».

Andrea Turco

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