«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità». Fa ricorso all’articolo 28 della Costituzione l’avvocato Angelino Alessandro, il difensore di fiducia di Francesco La Rocca, per il reclamo in cui chiede che venga annullato il decreto del magistrato di sorveglianza di Bari che ha disposto il ritorno in carcere del boss ergastolano, dopo le verifiche sul suo stato di salute all’ospedale Cannizzaro di Catania. Lo storico capo della famiglia mafiosa di Caltagirone era stato scarcerato nei mesi scorsi in seguito ai rischi connessi all’epidemia di Covid-19 e posto agli arresti domiciliari nella sua casa a San Michele di Ganzaria, dopo avere attraversato l’Italia in macchina insieme al figlio Gioacchino Francesco.
Per l’avvocato, sarebbero diversi i motivi per cui «lo stato di detenzione è assolutamente incompatibile con le sue condizioni di salute». Condannato all’ergastolo per associazione mafiosa e omicidio, fino allo scorso 1 aprile l’82enne si trovava detenuto nel carcere milanese di Opera, da cui è uscito per usufruire del differimento della pena. Durante il periodo ai domiciliari, più volte è stato ricoverato in ospedale a causa del precario quadro clinico. Condizioni di salute che, in seguito alle ultime verifiche, sono state comunque ritenute idonee al rientro in carcere.
Nel documento è il legale a elencare tutte le patologie da cui il boss che è stato vicino a Totò Riina e Bernardo Provenzano risulta affetto: problemi cardiaci, ipertensione, diabete, trigliceridi e colesterolo alti, un intervento di cataratta già subito, ipoertrofia prostatica benigna, ipotiroidismo, poliartrosi, malattia di Dupuytrem (che determina la curvatura permanente di uno o più dita della mano) e deficit della memoria. Inoltre viene specificato che l’anziano «necessita di continua assistenza non essendo in grado di compiere in modo autonomo gli atti quotidiani della vita per un’esistenza serena e dignitosa».
Allettato su un materasso antidecubito, La Rocca non riuscirebbe nemmeno a stare seduto in modo autonomo. Una situazione complessiva che, stando a quanto sostiene il suo difensore, «velocemente potrebbe determinare anche il decesso» e che, in ogni caso, farebbe venire meno «la sua eventuale pericolosità sociale». C’è anche questo, infatti, tra i motivi del reclamo: «Il giudizio sulla pericolosità sociale – scrive il legale nel documento inviato al tribunale di sorveglianza di Bari – risulta essere puramente soggettivo» perché si baserebbe su criteri come «il carattere, i precedenti penali e giudiziari, la condotta di vita, le condizioni familiari e sociali».
Oltre a quella che il legale giudica una «errata valutazione del quadro sanitario», ci sarebbero da considerare anche il fattore dell’età e delle condizioni strutturali della casa di reclusione di Bari. «Una struttura assolutamente inadeguata – sostiene l’avvocato Alessandro – e sovraffollata (con oltre 150 detenuti in più rispetto alla capienza consentita)», dove i 24 posti letto della medicina protetta sarebbero già tutti occupati. La Rocca starebbe, infatti, in una cella troppo piccola che non garantirebbe la possibilità di un letto rialzabile e delle apparecchiature mediche. «Risulta evidente – afferma il legale – che vi è un comportamento persecutorio e vendicativo a cui La Rocca è sottoposto, venendo meno il rispetto della persona umana. Si ritiene – conclude – che stia subendo un trattamento disumano». Per questo il legale chiede anche «l’invio di ispettori ministeriali con massima urgenza che accertino quanto lamentato».
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