L’austererità, da Enrico Berlinguer a Enrico Letta…

MAGARI L’ATTUALE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO TROVA IL TEMPO DI RIFLETTERE SU UN CELEBRE DISCORSO CHE IL SEGRETARIO DEL PCI TENNE NEL 1977. POTREBBE COSI RICORDARSI CHE, INVECE DI PENSARE AL CLUB DI BILDERBERG DOVREBBE OCCUPARSI DEL FUTURO DEI CITTADINI

L’enorme debito pubblico, la decrescente produttività del sistema economico, la sudditanza militare al sistema statunitense, la pressione delle lobbies sulle scelte di governo e sulle politiche di riforma, la fragilità del ruolo europeo dell’Italia rispetto alla Germania e alla Francia, l’assenza di consapevolezza del Paese Italia, scarsamente sentito dai cittadini: sono, questi, tutti fattori che hanno prodotto la crisi nazionale relegando il nostro Paese negli ultimi posti nell’Occidente, Questa crisi strutturale del nostro Paese viene riconosciuta universalmente, ma i responsabili politici del sistema italiano dicono che occorrono politiche di austerità per uscire dalla crisi profonda in cui ci troviamo senza alcuna ricetta, tranne quella più facile di scaricare tutte le inefficienze sulla ‘inadeguatezza’ della nostra Carta costituzionale che si vorrebbe modificare in favore del potenziamento dell’esecutivo rispetto alla rappresentanza.

Di fronte a questo quadro di sudditanza alle potenze internazionali, delle quali il Bilderberg è solo l’aspetto più grezzo ed arrogante – come lo fu in passato, con altre finalità, Gladio – la nostra classe dirigente che si è formata negli apparati dei partiti della Prima Repubblica o, talvolta, improvvisata in base a spinte populiste più o meno sollecitata da motivazioni pseudo riformiste e, comunque, da interessi esterni al nostro Paese. Lo scopo prevalente in queste due espressioni della classe dirigente è quella di presidiare comunque il governo. Non perché l’una o l’altra abbia una visione futura della società e delle istituzioni nazionali, ma perché mediante l’occupazione del governo i privilegi di classe possano essere garantiti, sia che al governo ci sia il centrodestra e sia che ci sia il centrosinistra.
Non è un caso che entrambi gli schieramenti sostengano il sistema bipolare. Questa scelta del sistema politico è organica comunque agli interessi che si vogliono tutelare, perché questi si collocano in maniera farisaica fra i ceti benpensanti o intermedi. Così i due schieramenti per vincere hanno bisogno entrambi di conquistare quel consenso, anche se dopo la vittoria nessuno riesce a governare per la ragione che qualunque azione riformatrice metterebbe in discussione quegli interessi e perciò quel consenso. Quindi niente riforme e sistematico arretramento complessivo economico, politico e culturale del nostro Paese.

L’unico terreno comune sul quale queste classi dirigenti di qualsiasi orientamento si ritrovano d’accordo sono i diritti acquisiti dai lavoratori (leggi Statuto dei diritti dei lavoratori e segnatamente l’articolo 18), che entrambi gli schieramenti puntano sistematicamente a limitare, utilizzando, a sproposito, l’attaccamento ai privilegi degli uni (i lavoratori occupati) rispetto alle attese degli altri (i disoccupati e i precari), definendoli vittime del conservatorismo dei primi. Utilizzando questo sillogismo demagogico – esemplare nell’azione di governo del professore Mario Monti – concorrono entrambi a far decrescere il Paese, ad impoverirlo e a fare arretrare anche i ceti produttivi che, impauriti, de-localizzano le loro attività imprenditoriali perché oberati dal carico fiscale.

Questo andazzo basato sul nulla contribuisce oggettivamente a dare ragione a chi predica l’austerità e in base a questa parola d’ordine assume funzioni egemoni nella cultura economica e politica europea.

Ora, che l’austerità sia una virtù, anche se un po’ pallosa, è fuori discussione. La questione, piuttosto, riguarda a cosa essa è finalizzata. E a questo proposito, concludiamo ricorrendo ad un’ampia citazione del discorso di Enrico Berlinguer, pronunciato il 15 gennaio 1977, allorquando la crisi energetica costrinse mezzo mondo ad adottare politiche di austerità.

Questo ricordo lo dedichiamo ad Enrico Letta, affinché lo assuma quale promemoria per la sua azione di governo mirata ad obiettivi alti piuttosto che a ‘marchette’ concordate con il suo alleato Angelino Alfano: “Viviamo uno di quei momenti nei quali per alcuni Paesi, e in ogni caso per il nostro, o si avvia una trasformazione rivoluzionaria della società o si può andare incontro alla rovina comune delle classi in lotta. Ecco perché, una politica di austerità, di rigore, di guerra allo spreco è divenuta una necessità irrecusabile da parte di tutti e al tempo stesso la leva su cui premere per fare avanzare la battaglia per trasformare la società nelle sue strutture e nelle sue idee di base”. E continua: “Una politica di austerità deve avere come scopo quello di instaurare giustizia, efficienza, ordine e moralità. Concepita in questo modo la politica di austerità, anche se comporta certe rinunce e certi sacrifici, acquista al tempo stesso un significato nuovo e diviene un atto liberatorio per grandi masse di cittadini e crea nuove solidarietà al servizio di un’opera di trasformazione sociale”.
La lezione è tutta qui: nell’ottica politica si deve avere sempre presente il futuro dei cittadini e della nazione, piuttosto che le pretese delle cricche di potere; più alle nuove solidarietà e meno ai privilegi di pochi, più all’efficienza e alla moralità e meno agli sprechi e agli abusi.
E’ appena il caso di ricordare che questa lezione vale anche per Rosario Crocetta e per la cricca di Confindustria Sicilia sua stretta alleata…

 

Riccardo Gueci

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