«Un’emergenza? Gli sbarchi sono ormai un’emergenza cronica, perché non si vuole fare un piano e si preferisce una decisione di facciata?». È dura la replica di Marina Tumino, segretaria regionale dell’associazione medici dirigenti ospedalieri della Sicilia (Anaao Assomed), alla nota dell‘Asp di Catania dal titolo Emergenza Migranti. Task force operativa. Predisposizione prospetti reperibilità mensile. Un documento in cui all’improvviso si richiede la presenza dei medici dell’azienda sanitaria provinciale in caso di sbarchi al porto di Catania, finora gestiti dai dottori della Croce rossa, convenzionata con il ministero degli Interni. Una decisione forse accelerata dall’allarme sociale scatenatosi dopo il presunto caso di vaiolo – poi rivelatasi varicella – nello sbarco di fine giugno. Ma che, risponde l’associazione, non tiene conto né della cronica carenza di organico nei presidi Asp del Catanese né dell’impossibilità di fare delle vere diagnosi solo con una visita sbrigativa.
E proprio di «una sommaria valutazione clinica con laccertamento delle condizioni generali, con levidenziazione eventuale di segni clinici evidenti di malattie infettive, diffusive e/o contagiose» si scrive nel documento dell’Asp. «Una presa in giro, come quelle immagini che si vedono in tv dove i medici guardano la gente in faccia o dentro la bocca sulle scalette delle navi – continua Tumino – È possibile che eventuali malattie siano in incubazione o semplicemente non si vedano». Soprattutto in assenza di strumenti specifici e protezioni. «Il piano prevede solo di indossare sopra i vestiti o il camice una casacca con il logo Asp», spiega la segretaria regionale Anaao Assomed.
Ma, prima di tutto, il problema potrebbe rivelarsi quello di non avere personale disponibile da mandare al porto di Catania in caso di sbarchi. «I vari ospedali e i presidi soffrono già una carenza di organico rispetto ai parametri di tranquillità stabiliti – spiega Tumino – Già per coprire i turni di guardia dalle 8 alle 20, che sono il minimo previsto a livello contrattuale, si fanno i salti mortali». Senza considerare le reperibilità notturne e festiva. «Il tutto da spartire fra tre medici, come succede ad esempio in molte pediatrie». Un problema noto, ma ignorato dal disaster manager dell’Asp etnea. «Questo succede perché si è deciso questo piano senza averci mai interpellati», commenta Tumino.
E se anche si trovasse il personale, sottolinea, resterebbero da superare i limiti del contratto. «Che regolamenta la nostra attività all’interno degli ospedali. Per capirci, a un medico che lavora al pronto soccorso è vietato uscire per andare a soccorrere qualcuno nella strada antistante al presidio ospedaliero. Figurarsi andare da altre parti come il porto». Casi in cui – come gli studi privati – servono autorizzazioni specifiche dell’azienda. «L’Asp promette che saremmo coperti da una tutela assicurativa, ma dobbiamo credere loro in parola».
Di sicuro ci sono i costi di questo lavoro, da coprire a titolo personale, specie per i medici che operano fuori città – ad Acireale come a Caltagirone – anche loro chiamati a rispondere alle esigenze del porto etneo. «Noi non vogliamo sottrarci a questo problema perché il nostro lavoro è assistere chi ha bisogno – conclude Marina Tumino – Ma chiediamo di poterlo fare in maniera seria e organizzata».
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