L’ascesa di Montante e le pressioni sulle istituzioni Fava: «Fatti aberranti sul piano politico e morale»

Centinaia di ore di audizione, decine di migliaia di pagine acquisite sia dall’autorità giudiziaria che dall’amministrazione regionale, dieci mesi di lavoro intenso, quarantanove audizioni. La commissione regionale antimafia ha presentato questo pomeriggio a Palermo la relazione conclusiva, approvata all’unanimità dai commissari, dell’inchiesta sul sistema Montante, un dossier di 120 pagine, dal quale emerge ancora una volta come «la lotta contro la mafia – ha detto il presidente, Claudio Fava – sia stata utilizzata come salvacondotto per spalancare porte. Una lotta che è stata soltanto antimafia dei padroni e degli affari».

Fava parla di «esistenza di un governo parallelo che per anni ha occupato militarmente le istituzioni regionali e ha spostato fuori dalla politica i luoghi decisionali sulla spesa. Abbiamo assistito per anni a una privatizzazione della funzione politica. Parlo di sistema non a caso, perché si è andati avanti grazie alla benevolenza, alla complicità e alla solidarietà di personaggi appartenenti ai settori più diversi: da quelli istituzionali a quelli delle professioni. Un sistema con una sua coesione che si è autoprotetto».

Un dato su tutti i componenti della commissione antimafia considerano preoccupante: «Dopo l’iscrizione di Montante nel registro degli indagati per concorso in associazione mafiosa e la diffusione della notizia sui giornali, le tutele di cui godeva, invece di venir meno, si sono addirittura rafforzate – ha proseguito Fava – Ha continuato a incontrare il capo della polizia, i prefetti e l’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano, senza che nessuno abbia almeno atteso la conclusione della vicenda giudiziaria. E questo è preoccupante. Anzi, gli si è anche aumentata la scorta».

«Come giustificazione della decisione di aumentare la scorta all’ex presidente di Confindustria Sicilia – ha aggiunto il presidente della commissione Antimafia – hanno addotto l’autonomia dei vari rami dell’amministrazione. Alfano lo ha anche nominato nel consiglio direttivo dell’agenzia dei beni confiscati alla mafia. La notizia dell’inchiesta già circolava, nonostante ancora non fosse stata pubblicata dai giornali: come è che il Viminale non sapeva nulla?».

C’è un episodio, nello specifico, che Fava ha portato all’attenzione dei giornalisti: «Montante chiamava l’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano, per concordare la destinazione dell’ex prefetto di Caltanissetta. Abbiamo assistito per anni a una promiscuità, a commistioni tali da annullare l’autonomia delle istituzioni. Sul piano morale, politico ed etico è cosa aberrante. E lo resta anche se non penalmente rilevante».

Miriam Di Peri

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