L’ascesa di Fiammetta, boss che voleva comandare Per lui era pronto un agguato a colpi di kalashnikov

Dietro le sbarre delle aule di giustizia è rimasto sempre in silenzio. Qualche cenno di saluto a familiari e amici e la risposta per confermare la sua presenza all’appello dei cancellieri. Nel suo volto un sorriso, sbandierato a giudici e magistrati. Forse allora ci pensava già: tornare a casa per comandare nel nome della famiglia mafiosa di Cosa nostra catanese. Alfonso Fiammetta avrebbe deciso di farlo subito dopo la scarcerazione. Passati cinque anni da detenuto e con il peso di una doppia condanna per mafia nel processo Iblis, era rientrato a Palagonia alla fine dello scorso novembre. In pochi mesi, secondo i vertici del Ros dei carabinieri guidati dal generale Giuseppe Governale, sarebbe diventato l’interlocutore principale dei tre reggenti delle famiglia di Catania, Enna e Siracusa

Tra le quattro mura dell’abitazione di Fiammetta, nella città calatina famosa per la produzione di arance, si sarebbero susseguiti per mesi summit e accese discussioni, con i protagonisti dell’ultima operazione antimafia, ribattezzata Kronos, che ha portato al fermo di 28 persone. Un tempo lungo quattro mesi che il presunto boss avrebbe impiegato per ridisegnare gli assetti criminali nel territorio che ingloba anche l’area di Ramacca. Dopo cinque anni in cella, però, la situazione fuori non era più la stessa. Al suo posto si sarebbero fatti spazio i concittadini Salvatore Pappalardo e Giovanni Di Benedetto. Coppia che avrebbe risposto agli ordini dello Zu’ Turi. All’anagrafe Salvatore Seminara, pastore con il pallino della Cosa nostra vecchia maniera, originario di Mirabella Imbaccari ma trapiantato nella provincia di Enna. Per ripianare lo sconfinamento si sarebbe attivato direttamente Francesco Santapaola, figlio di un cugino di Nitto e successore nella reggenza di Angelo, il defunto capo inghiottito dalla lupara bianca nel 2007. Gli investigatori hanno messo in fila pedinamenti e intercettazioni contando almeno sei summit di mafia che si sono svolti tra Paternò, Siracusa e Palagonia.

L’ultimo nel Calatino, in ordine di tempo, è quello del 22 marzo scorso, che si sarebbe tenuto a casa di Fiammetta. In quest’occasione si sarebbe deciso che gli unici titolati per muoversi a Ramacca e Palagonia erano Fiammetta stesso e Febronio Olivia. Fratello di Pasquale il massaro, attualmente detenuto al 41bis e condannato nel processo Iblis. L’estromissione della coppia che faceva riferimento a Seminara avrebbe però surriscaldato gli animi. Il 4 aprile Di Benedetto e Pappalardo rimangono illesi durante un agguato, organizzato, secondo gli investigatori, da Fiammetta e Pippo Floridia, capo del clan aretuseo dei Nardo. La vendetta doveva essere tremenda e non si sarebbe fatta attendere più di tanto. Nel mirino, oltre al presunto boss di Palagonia, sarebbe finito pure uno dei suoi quattro figli. Ma l’omicidio eccellente era riservato al padre. Secondo i piani, in occasione della sentenza della corte di Cassazione sul processo Iblis, Fiammetta sarebbe dovuto rimanere vittima di una mattanza in grande stile con kalashnikov e fucili di precisione. L’occasione buona era l’obbligo per il boss di presentarsi, in caso di condanna definitiva, al carcere di Caltanissetta. A far saltare tutto è stato solo lo slittamento della sentenza da aprile a inizio giugno

Volevano ucciderlo quando si sarebbe recato a Caltanissetta

«Alfonso da Palagonia», come è stato spesso definito dai collaboratori di giustizia, si voleva fare strada con prepotenza. Un personaggio furibondo, amante delle sue inseparabili armi. In passato si sarebbe occupato anche della latitanza di Santo La Causa, l’ex reggente diventato collaboratore di giustizia, custodito per un periodo in una masseria lungo la strada Catania-Gela. Uomo fidato del capo provinciale Vincenzo Aiello, Fiammetta avrebbe preso parte anche alla tragedia in cui rimasero vittime Angelo Santapaola e Nicola Sedici. L’accusa di favoreggiamento nell’omicidio è però caduta nel processo d’appello Iblis in cui è stato condannato a nove anni e sei mesi. Nel 2009 doveva essere fatto uomo d’onore con il rito della pungiuta ma per il grande salto non era ancora pronto. Di tempo ne è passato

Dario De Luca

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