L’anima siciliana della nuova rete neonazista L’eco di Hitler da Piazza Armerina al Messinese

C’è anche un’anima siciliana nella rete di neonazisti scoperta dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta. Ci sono un punto di partenza nel cuore dell’Isola, a Piazza Armerina, e dei collegamenti che portano ad Avola e sulla costa ionica messinese.

Luigi Forte ha 35 anni e vive ad Avola, dopo essere stato per molti anni residente in Nord Italia e all’estero. C’è anche lui nell’elenco dei 19 indagati che ieri sono stati sottoposti a perquisizione con l’accusa di associazione a delinquere con finalità di eversione dell’ordine democratico. Tatuata sul petto la sua fede: le frasi «Boia chi molla», «Veni vidi vici». Insieme alla sigla C18, Combat 18, movimento neonazista britannico. Sul suo profilo Facebook – come rivela Repubblica Palermo – la citazione di Hitler: «La premessa dell’esistenza di un’umanità superiore non è lo Stato, ma la nazione».

Adesso vivono in Veneto, ma negli ultimi due anni e fino ai primi di ottobre hanno abitato nel Messinese il 42enne Bruno Basso e la moglie Veronica Giunta, marito e moglie, lei di origine siciliana. Proprio tra Roccalumera e Furci Siculo dove ancora vive la famiglia della donna, la coppia è rimasta a lungo. Le perquisizioni degli agenti della Digos sono scattate anche nelle abitazioni frequentate dai due lungo la fascia ionica messinese. Basso, una grande svastica tatuata sul petto vicino a un altro tatuaggio dedicato alla moglie, è un soggetto conosciuto alle forze dell’ordine di Vicenza: in passato ha fatto parte del gruppo Veneto Fronte Skinhead, le teste rasate, ha precedenti per furto, ma anche per aggressione e maltrattamento proprio a danno della moglie che lo denunciò. L’uomo è tuttora sotto processo dopo la denuncia della donna, ma lei lo ha perdonato, sgravandone la posizione giudiziaria, e i due continuano a condividere l’ideologia neonazista. Durante le perquisizioni nella casa in provincia di Vicenza, la polizia non ha trovato materiale compromettente, ma ha sequestrato il cellulare dell’uomo. «L’ho sentito ieri mattina prima – spiega il suo avvocato, Claudio Castegnaro – ed era stupito dall’irruzione degli agenti. Non mi risulta che negli ultimi anni abbia militato in qualche gruppo». Gli investigatori, però, continueranno ad approfondire le frequentazioni siciliane della coppia e le eventuali attività di proselitismo che ha portato avanti nell’isola. 

Ma la storia dell’operazione Ombre nere parte da un altro angolo di Sicilia: Piazza Armerina. È il 12 agosto quando Carmelo Lo Monaco entra in una macelleria del paese, armato di coltello, e uccide il padre. Non si vedevano da 13 anni. Lo Monaco, si scoprirà dopo, durante le indagini, è un trentenne con disturbi mentali e un’infanzia difficile costellata di violenze e abusi. Almeno questo è quello che racconta alla polizia che lo arresta per l’omicidio: voleva punire suo padre per il male che gli aveva fatto. Ma la violenza e l’odio di quel giovane solitario, disoccupato e con evidenti problemi, non emergono solo nella vita reale, ma anche su Facebook, dove è presente con diversi profili e con uno pseudonimo: Carlo Apophis Apep, nome di una divinità egizia appartenente alla religione dell’antico Egitto che simboleggia l’incarnazione della tenebra, del male, del caos ed è l’antitesi della dea che rappresenta, invece, l’ordine e la verità. Dalla tribuna social si scaglia contro i migranti e contro chi li difende, a cominciare dalle Ong. Definisce se stesso «camerata» e l’omosessualità «anticamera della pedofilia». «La vita senza combattere e reagire ai soprusi equivale a non vivere – diceva – Sfogherò la mia ira sulla popolazione. Sono disposto a morire».

È seguendo le sue attività e i suoi collegamenti nel mondo virtuale che la Digos di Enna comincia a ricostruire la rete di fanatici di estrema destra sparsa per l’Italia. Un gruppo composto da diverse cellule, con arruolatori e addestratori, come il pluripregiudicato della ‘ndrangheta ed ex pentito, referente di Forza Nuova in Liguria. O come miss Hitler, la 26enne milanese Francesca Rizzi, che la scorsa estate ha partecipato agli stati generali dei gruppi neonazisti europei a Lisbona. 

Al termine delle perquisizioni a carico di 19 persone, uno di loro è stato arrestato per detenzione illegale di armi da fuoco. Lungo l’elenco di armi e di materiale neo nazista sequestrato dalle forze dell’ordine: un fucile a pompa, un kalashnikov, tre coltelli, un taser, tre tirapugni, due katana, una mazza da baseball, un pugnale, una pistola ad aria compressa, una pistola soft air, una balestra, daghe, dardi e numerose armi lunghe e corte ad aria compressa. E ancora due volumi del Mein Kampf e altri due libri sulle ideologie di Hitler, diverse bandiere con simboli fascisti. 

Un piccolo arsenale che alcuni soggetti del gruppo avrebbero voluto usare. L’obiettivo era formare gruppi organizzati, pronti allo scontro fisico. Così si mettono da parte i progetti personali e si cerca di unire le forze. Una delle donne, ad esempio – accantonato il progetto di costituire una cellula della violentissima falange dei Combact 18, con l’intervento anche di soggetti bulgari – tenta di aderire al Partito Nazional Socialista Italiano dei Lavoratori, costituito da un’altra militante. «In ottobre inizieranno gli addestramenti della Milizia
nazionalsocialista – scrive la fondatrice su Facebook – verranno eseguiti in Piemonte. Sforneremo soldati pronti a tutto, come
detto più volte non ci fermerà nessuno. Per chi è interessato a unirsi a noi mi contatti… heil
Hitler sempre
».

I piani di azione, almeno a parole, avrebbero dovuto concentrarsi contro gli ebrei. Da Milano e Padova, due estremisti lanciano il loro programma di aggressione ai patrimoni degli
ebrei, proponendone la confisca. «Hitler è stato fin troppo buono… Se fosse stato meno buono avrebbe sterminato tutti gli ebrei». Le due donne indagate
arrivano a minacciare l’esplosione di «una bomba in Sinagoga».
Inquietante è poi il proposito di un altro militante: «Noi vogliamo fare un nostro esercito e forze dell’ordine cioè creare un nuovo
esercito da sostituire a quello che c’è adesso
».

Salvo Catalano

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