I migranti sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, dove morirono 366 persone, lo avevano riconosciuto subito e lo indicarono come uno degli organizzatori di quel viaggio della morte. «E’ lui, la sua faccia non la dimentico», disse uno dei testimoni puntando il dito contro Muhidin. Oggi la corte d’assise di Agrigento ha condannato a 30 anni il somalo Mouhamud Elmi Muhidin, 34 anni, per i reati di tratta di esseri umani, associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza sessuale.
I giudici hanno anche condannato l’uomo all’interdizione ai pubblici uffici e a versare 20mila euro, a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, al Comune di Lampedusa costituito parte civile, rinviando al giudice civile la liquidazione del danno.
I superstiti – che oggi non erano in aula – furono sentiti dagli inquirenti in un incidente probatorio prima che, acquisito lo status di rifugiati, potessero raggiungere altro Paesi europei. Raccontarono di essere stati rapiti nel deserto da uomini armati e di essere stati portati a Seebha, al confine tra Ciad e Libia, e tenuti prigionieri. Per la loro liberazione e la continuazione del viaggio verso l’Italia, i familiari furono costretti a inviare 3mila dollari per ogni migrante. Soldi che sono finiti nelle casse della banda di sequestratori.
Durante la prigionia furono torturati: un giovane ha raccontato di essere stato appeso a testa in giù e picchiato sulla punte dei piedi, altri di essere stati frustati con fili elettrici dopo essere stati bagnati d’acqua. Tutti hanno riferito che le donne venivano portate fuori dalla casa e violentate. Dopo avere pagato il riscatto, sarebbero stati portati a Tripoli su dei camion e lì sarebbero stati chiusi in un’altra abitazione: solo in cambio di altri 1.600 dollari sarebbero stati fatti salire su motoscafi. Su questi mezzi avrebbero infine raggiunto il barcone naufragato il 3 ottobre.
Gli inquirenti hanno constatato che le testimonianze hanno molti punti in comune con i racconti fatti dai superstiti dell’ultima tragedia del mare, dai i 9 migranti sbarcati due giorni fa a Lampedusa che hanno raccontato della scomparsa di più di 300 persone. Troppe, secondo i pm della Dda di Palermo, le analogie: ecco perché si ipotizza che a gestire la tratta sia la stessa rete di trafficanti.
Anche grazie all’aiuto degli 007 sono stati identificati quattro componenti dell’organizzazione criminale. Per due c’è un mandato di cattura internazionale, due sono ricercati. Ma le instabili condizioni politiche dei Paesi in cui i 4 sono rifugiati – Libia e Sudan – rendono difficili le procedure di estradizione.
Alla lettura della sentenza ha assistito anche il pm della Dda di Palermo Geri Ferrara che ha coordinato l’inchiesta che portò all’arresto del somalo oggi condannato e del palestinese Attour Abdalmenem. Quest’ultimo sarebbe stato tra gli organizzatori di un’altra traversata finita in tragedia. Il barcone su cui viaggiava si inabissò l’11 ottobre a largo di Malta. Processato col rito abbreviato venne condannato a 13 anni.
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