Sono stati entrambi condannati all’ergastolo i due imputati del processo per il duplice omicidio e il tentato omicidio in contrada Xirumi, alla Piana di Catania, tra il 9 e il 10 febbraio del 2020. In quella notte a essere ammazzati a colpi di fucile furono il 18enne Agatino Saraniti e Massimo Casella, il compagno della madre. Gravemente ferito era rimasto l’unico sopravvissuto, Gregorio Signorelli. È arrivata dopo un’udienza fiume, durata oltre cinque ore, la decisione della corte d’Assise di Siracusa per Giuseppe Sallemi e Luciano Giammellaro. Per entrambi la sentenza prevede la condanna alla pena dell’ergastolo (per Sallemi con l’aggiunta dell’isolamento diurno per un anno e sei mesi), il pagamento delle spese processuali e di quelle di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare e anche il risarcimento nei confronti delle parti civili. Per tutti e due è stata invece esclusa l’aggravante di avere agito con crudeltà.
Per le motivazioni, adesso bisognerà attendere
novanta giorni. Intanto, sono stati definitivamente confiscati i cellulari degli imputati che erano stati sequestrati durante le fasi d’indagine. Stesso procedimento anche per tutti gli indumenti che adesso verranno distrutti. Quella per i due imputati è una condanna piuttosto in linea con le richieste che erano state avanzate dal pubblico ministero Andrea Palmieri al termine di una lunga requisitoria. Dopo essere stato arrestato, Sallemi aveva confessato sostenendo di avere agito da solo per legittima difesa. Dichiarazioni che erano state però subito smentite dagli esiti delle autopsie sui cadaveri. Nella ricostruzione dell’accusa lo avrebbe fatto «in funzione di un accordo economico con Giammellaro che, però, poi sarebbe saltato». Una questione che era già emersa anche dalle intercettazioni.
Dagli atti non è emerso nessun preciso accordo tra i ladri e i custodi dei terreni in quella occasione. Secondo l’accusa, l’elemento scatenante sarebbe stata una domanda posta dall’unico sopravvissuto a Sallemi. Ed era stato proprio lui a raccontarla durante il suo esame: «Signorelli mi ha chiesto se fossi autorizzato a sparare. Io gli ho detto che non avevo bisogno di autorizzazioni, ho abbassato il fucile e sparato». A quel punto, Signorelli viene dato per morto, Casella è già deceduto e, per questo, sarebbe stato ammazzato anche il figlio della sua compagna appena maggiorenne. Ed è proprio per la morte di quest’ultimo che era stata contestata anche l’aggravante della crudeltà. A lui, infatti, avrebbero sparato tre volte: un colpo sullo stomaco, a bruciapelo, a contatto con la pelle nuda, che è uscito dall’altra parte della pancia senza raggiungere organi vitali. Secondo la ricostruzione della medica legale, questo potrebbe essere stato il primo colpo. Il ragazzo potrebbe essersi avvicinato e, per disarmare l’aggressore, avrebbe afferrato la canna del fucile. Poi, più da lontano, un colpo al gluteo destro e, infine, quello fatale che lo colpisce al centro della schiena spezzandogli la colonna vertebrale. Casella, invece, sarebbe stato colpito da un solo sparo all’addome, dall’alto verso il basso, con i pallini che avrebbero trafitto i polmoni e il pancreas.
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