La vittima di tratta e le violenze della mafia nigeriana Costretta a prostituirsi dai membri dei clan più feroci

Blessing in inglese vuol dire benedizione. Ma il destino di Olomukoro Blessing è stato tutt’altro che un dono. Arrivata in Italia nel 2017, la giovane donna nigeriana è stata vittima di tratta e di sfruttamento della prostituzione, prima a Bari e poi a Palermo. Un fenomeno sottovalutato (e ben analizzato invece recentemente dalla ong Ciss), che conduce in Italia centinaia di schiave, specie minorenni, in cerca di un miraggio che diventa un inferno di sopraffazione e violenza. Un destino che poteva già essere segnato, quello di Olomukoro. E che invece la donna è riuscita a rovesciare con una denuncia che ha di fatto consegnato alla squadra mobile di Palermo il suo aguzzino, conosciuto con il nome di Action. Dai suoi racconti sono venuti fuori particolari importanti sulla mafia nigeriana, e in special modo sul gruppo criminale degli Eiye che opera soprattutto nel quartiere di Ballarò. Dettagli precisi sui luoghi e sulle persone che hanno portato ai 13 arresti di oggi.

È l’agosto del 2014 quando Olomukoro Blessing arriva in Italia, attraverso uno sbarco a Reggio Calabria, soccorsa in mare da una nave militare. Ha appena 20 anni, è partita dalla città di Edo State insieme ad altre due ragazze. Vuole lasciare la Nigeria per problemi economici, e la mamma di una delle due compagne di viaggio le prospetta la possibilità di lavorare nel bar di sua sorella che si trovava in Italia. Così Olomukoro parte, non prima di essere sottoposta a un rito voodoo e di aver ceduto a un certo Osasu 25mila euro «per ripagarlo delle spese di viaggio dalla Nigeria all’Italia». Dopo un viaggio avventuroso – in autobus dalla Nigeria attraverso il deserto del Niger, l’approdo in Libia e il trasferimento in un campo, poi la partenza per il mar Mediterraneo su un gommone – Olomukoro arriva in Italia. Ma la giovane donna resta poco nel capoluogo calabrese, appena due giorni. 

Insieme alle sue amiche viene condotta a Bari, e va vivere nella stessa casa di un connazionale che si fa chiamare Friday. Qui però scopre l’inganno: non dovrà lavorare in alcun bar ma dovrà prostituirsi. Viene picchiata e minacciata di morte, violentata da Friday e costretta a prostituirsi anche durante la successiva gravidanza. Non riesce neanche ad uscire di casa, non può chiedere aiuto perché Friday si è appropriato del suo telefono, e il bambino viene portato fuori da una sua ex amica, che nel frattempo è diventata la compagna del suo aguzzino. In questa prigione Olokumoro comincia a notare particolari importanti: Friday e suo fratello Osus appartengono a un cult e si vestono di rosso e nero durante gli incontri con i loro amici; indossano anche un basco nero e rosso e si salutano in un modo particolare, tenendo prima il pugno chiuso e il pollice alzato poi stringendosi la mano e gli avambracci. Un rito che si chiama (ma la donna lo scoprirà poi) arubaga o vikings e che identifica uno dei più violenti clan della mafia nigeria in Italia

Dopo quasi un anno di segregazione Olokumoro riesce a fuggire. Conosce una ragazza che fa l’elemosina e con lei va a Torino, per poi contattare un suo amico di nome Action che le promette un lavoro a Palermo. È il luglio 2017: sembra la svolta, dopo un viaggio estenuante in pullman dal Piemonte, e invece è di nuovo finita tra le grinfie di un altro sfruttatore. Anche nel capoluogo siciliano, infatti, la donna viene costretta a prostituirsi, insieme ad altre due donne, e deve cedere parte del denaro al suo protettore. Questa volta il luogo di reclusione è nei pressi di Casa Professa, nel cuore di Ballarò, in una casa al piano terra. Ci sono tre stanze: in quella principale Action vende la birra mentre nelle altre due le tre donne ricevono i clienti, tutti nigeriani, con prestazioni da 15-20 euro. Anche questa volta, per fortuna, Olokumoro riesce a fuggire dopo un mese per rifugiarsi alla Caritas.

E anche questa volta il suo aguzzino fa parte di un gruppo della mafia nigeriana. Lui e i suoi amici, racconta alla polizia a settembre 2017, indossano qualche volta dei baschi di colore blu; Action ha una bandiera blu giallo e bianca e veste spesso con abbigliamenti dello stesso colore. Lo riconosce in foto, fornisce agli inquirenti il suo numero di telefono, indica esattamente attraverso google maps il luogo è stata reclusa, al cortile delle bisacce. Da lì la squadra mobile di Palermo, attraverso un lavoro di intercettazioni telefoniche sul cellulare di Action, individua gli altri membri della confraternita Eiye. 

Andrea Turco

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