Ricetrasmittenti, droga e social network. Il nuovo volto dello spaccio all’ombra di Cosa nostra passa attraverso Facebook. Scorrendo la lista dei 36 presunti pusher arrestati nell’operazione Chilometro zero è quasi impossibile trovarne uno che non abbia un’identità online. È questo il popolo 2.0 cresciuto tra i palazzoni di viale Biagio Pecorino. Una truppa di giovanissimi, incluso un inconsapevole bambino di sei anni usato come uomo in miniatura. Organizzati nella gestione militare del fortino della droga che cade nel territorio della famiglia Santapaola-Ercolano. La comunità virtuale degli spacciatori è fatta di molti profili di coppia, condivisi con mogli o fidanzate, e di una fitta rete di amicizie.
Colleghi con marijuana e cocaina nella strada e amici sulla piattaforma digitale ideata da Mark Zuckerberg. Sulle loro bacheche finisce di tutto, dalle foto che inneggiano a Cosa nostra con l’immagine di Totò Riina, passando per gli aforismi cult della celebre serie tv Gomorra. Il tutto alternato da preghiere e condivisioni dalla pagina Dolce Gesù. C’è poi chi si mostra in compagnia di boss e presunti reggenti della mafia etnea. Scorrendo le foto capita, per esempio, di trovare Rosario Lombardo o il suo pari grado, almeno per gli investigatori, Marcello Magrì, fratello dello spietato killer Orazio.
«‘O cummè, ‘o contr è mè», una frase in napoletano e due mani che impugnano altrettante pistole. Sulla bacheca di Cristian Strazzeri c’è la fede calcistica per il Calcio Catania e l’amicizia con il boss dei Santapaola-Ercolano Lombardo, detto ‘u rossu. I due vengono immortalati abbracciati dentro la cucina di Lombardo in una foto pubblicata nel 2015. L’appartamento di Strazzeri, tra aprile e maggio 2016, diventa l’obiettivo di due perquisizioni delle forze dell’ordine. Nel primo controllo non viene trovata droga ma 2500 euro in contanti e un pizzino di carta con annotati un lungo elenco di date, nomi e cifre. Un libro mastro dello spaccio, secondo la procura, che la moglie dell’uomo prova a nascondere in tasca, salvo poi essere a sua volta perquisita. Cocaina e marijuana vengono invece scovate durante il secondo blitz.
Nella pagine dei profili Facebook degli accusati di essere i pusher del gruppo passa anche la solidarietà e la vicinanza per gli amici detenuti. Si trovano spesso foto e frasi che evocano il ritorno in libertà con tanto di tag e commenti. «Buon Natale pure a te che sei dietro a quelle mura», si legge in un post, e tra le persone che vengono taggate spunta il nome di Carlo Burrello. Appena 23 anni, il coinvolgimento nelle operazioni Grimaldi square e adesso Chilometro zero, e la parentela con Marcello Magrì. Quest’ultimo accusato di essere il reggente dei Santapaola e nello stesso tempo fratello del killer di Cosa nostra Orazio. Burrello, secondo gli atti, sarebbe il successore del genero «nella gestione e conduzione dell’intera attività di spaccio». Durante l’ultimo blitz era già detenuto nel carcere Pagliarelli di Palermo, ma qualcuno ha deciso di comunicare, rigorosamente in dialetto siciliano, dal suo profilo social: «L’acqua ni vagna e u ventu n’asciuga», un post come a voler dire: «Niente ci potrà scalfire».
Rapine a mano armata, droga e l’assidua presenza in Rete. È il caso di Daniele Maggiore, 39 anni, già detenuto a piazza Lanza perché accusato di scippare le donne ferme ai semafori utilizzando una pistola giocattolo senza tappo rosso. Nel suo profilo si mischiano aforismi, compreso uno di solidarietà per le detenute donne, e fede per la patrona di Catania Sant’Agata. L’uomo, più volte pizzicato per droga, viene immortalato in una foto durante i festeggiamenti, indossa il sacco dei devoti e attorno al collo c’è il medaglione degli iscritti al circolo cittadino.
Ma la vera passione dei pusher di viale Biagio Pecorino sono la serie televisiva Gomorra e i tatuaggi. Da un lato il personaggio di Don Pietro Savastano e dall’altro i disegni sulla pelle di corone, fiori e nomi. Impressi ci sono quelli di figli, mogli ma anche dei presunti capi nel circuito dello spaccio di droga. Gli inquirenti lo definiscono «un segno di assoluta sottomissione», quando descrivono negli atti dell’inchiesta il ruolo di uno spacciatore e il significato del suo tatuaggio. La scritta «Gabriele» in riferimento a Gabriele Agatino Strazzeri, presunto successore al boss Lombardo nella gestione dello spaccio al viale Biagio Pecorino. La compagna del presunto manovale della droga non apprezza la scelta di avere quel nome sulla pelle e glielo fa presente durante un colloquio in carcere, dove le telecamere riprendono l’avambraccio. Lo stesso che l’uomo decideva di postare anche sul suo profilo Facebook, rendendolo pubblico a tutta la comunità virtuale. Una foto, la scritta e accanto il proiettile di un kalashnikov.
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