“La verità, vi prego, sulle stragi”

Da anni – e precisamente da quando è stato fatto saltare in aria il giudice Paolo Borsellino insieme con la sua scorta – Gioacchno Basile cerca la verità. Basile, a Palermo, è un personaggio noto. E’ l’ormai ex operaio dei Cantieri navali di Palermo iscritto alla Cgil che, nei primi anni ‘80 del secolo scorso, spesso in solitudine, denunciava le infiltrazioni della mafia nelle officine dei Cantieri navali di Palermo. E denunciava, anche – insieme ai suoi colleghi operai – la presenza di amianto nelle stesse officine, senza che l’azienda si curasse di tutelare la salute degli stessi operari, dei loro familiari e degli abitanti di quella parte di Palermo vicina ai Cantieri navali della città.
Basile era legato al giudice Paolo Borsellino. A lui aveva raccontato la sua solitudine, negli anni in cui rendeva note le violazioni di legge che andavano in scena dentro i cancelli dei Cantieri navali di Palermo. Denunce che – con riferimento, ad esempio, all’amianto – hanno trovato puntuale riscontro n un processo che si è concluso, in primo grado, con la condanna di alti dirigenti dei Cantieri navali di Palermo degli anni ‘80. Basile, qualche settimana prima della strage di via D’Amelio, dove Borsellino e gli uomini della sua scorta perderanno la vita, consegna al magistrato un dossier sui Cantieri navali. Di questa storia – e in generale dei grandi appalti in Sicilia, altro filone d’indagine che Borsellino seguiva nelle ultime settimane di vita -non si è saputo più nulla. Anzi, per la precisione, l’inchiesta su mafia e appalti condotta dai Ros (Reparto operativo speciale dei Carabinieri) tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ‘90, viene archiviata subito dopo la strage di via D’Amelio.
Basile ha spesso polemizzato con l’ex procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, Giancarlo Caselli. Ed è tornato a polemizzare con il magistrato qualche giorno fa, inviandogli una lettera proprio nel giorno in cui, a Milano, Caselli presentava un proprio libro. Il caso ha voluto che gli organizzatori della presentazione del volume invitassero anche Gioacchino Basile. Che, non potendo recarsi a Milano, ha inviato una lettera a Caselli. La risposta del magistrato, a quanto pare un po’ piccata, non sembra essere piaciuta molto a Basile. Che ha preso carta e penna e ha scritto una seconda lettera che è arrivata anche alla nostra redazione.
“In buona sostanza – scrive Basile – e per l’ ennesima volta, egregio dottor Giancarlo Caselli – ora possiamo ben darci del lei – Lei non dà risposte alle mie domande. Proprio per il rispetto che, bontà Sua, sostiene mi sia sempre dovuto, avrebbe, invece, avuto il dovere di fornirmele e di fornirle agli italiani onesti. Lei invece sostiene, dimenticando ben presto il rispetto precedentemente accordatomi, che le cose che dico “non sono suscettibili di contrapposizione dialettica”, ma fa anche di più: risponde con l’insulto e l’insinuazione, alla maniera di chi, non avendo argomenti per difendersi nel merito delle questioni, priva l’avversario di ogni diritto di cittadinanza, pronunciando una ‘scomunica’ che ha l’amaro sapore della commiserazione”.
“E’ questo che mi addolora immensamente -scrive sempre Basile -. Se prima qualche dubbio nascosto continuava ad albergare dentro di me, ora so. So, come Lei meglio della moltitudine sa, che la mafia… è tanto forte da non prendere nemmeno in considerazione i suoi veri nemici. Il fatto che Lei, così come ha tanto pietosamente confessato in pubblico, mi abbia considerato per tutti questi anni talmente degno di compassione da non querelarmi è un’offesa pesantissima, tanto più perché inquadrata all’interno di una cornice pelosa e formale che non si addice ai veri combattenti; è un pugnale velenoso che mi strappa le carni facendomi urlare di dolore. Nemmeno il cane criminale Totò Riina avrebbe potuto farmi più male di quanto me ne ha fatto Lei con le sue non risposte alle mie più che legittime domande”.
“No, non ce l’ho con la Magistratura, istituzione per cui nutro immutato rispetto – prosegue la lettera -. Metto da anni in discussione me stesso e quelle comode sicurezze dell’antimafia ufficiale al cui tepore, al contrario di troppi altri, non mi sono mai voluto, come avrei potuto, addormentare”.
Basile dice di seguire l’esempio di Paolo Borsellino, “autentico cercatore di verità – aggiunge – il cui operato, insieme con l’operato di Giovanni Falcone e Rosario Livatino, mi invita ancora oggi, nonostante le ‘scomuniche’ pronunciate dal ‘sinedrio antimafioso’, e alle Sue curiali pugnalate, alla lotta”.
L’ultimo passaggio della lettera riguarda i giovani che, a Milano, qualche giorno fa, hanno consegnato la lettera di Basile al procuratore Caselli, visto che, come già ricordato, l’ex operaio dei Cantieri navali di Palermo non era presente nella ‘Capitale’ lombarda. Sono i giovani di Forza nuova, schieramento con il quale Basile si è candidato a sindaco di Palermo.
“Con me – scrive ancor Basile – quei giovani che le hanno consegnato le domande a cui non ha ‘rispettosamente’ ritenuto di dover rispondere, giovani le cui idee – alla faccia dell’intolleranza che verso di loro il Suo mondo ‘tollerante’ riversa a tonnellate – non rappresentano per me alcuna contraddizione, perché – ieri come oggi – cercavo e cerco la verità, anche se questa verità avrei preferito non avesse un volto che assomiglia troppo…”. E qui ci fermiamo perché sennò Basile ci fa prendere una bella querela.

 

 

Giulio Ambrosetti

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