Di solito appoggiano gli arti delle vittime in sospensione tra due blocchi di pietra o di cemento, e poi con forza scagliano una borsa piena di grosse pietre o di pesi in ghisa in modo da provocare fratture nette e scomposte. Altre volte non vanno tanto per il sottile e usano direttamente una mazza ferrata. Una tortura volontaria alla quale sottoporsi per tirare su molti soldi, e fregare in questo modo le compagnie assicurative. Sembra il soggetto di un film di Quentin Tarantino. Ma siamo a Palermo, e dell’ironia postmoderna non c’è traccia in una vicenda che il questore Renato Cortese ha definito «raccapricciante». Solo orrore, povertà economica che fa rima con morale, truffe alle compagnie assicurative e disoccupati, alcolizzati e drogati usati come mero corpo da sfruttare a colpi di mutilazioni e torture, fin quando ce n’è.
Dalle 269 pagine dell’operazione Tantalo – che prende il nome dal mito greco in cui si racconta del figlio di Zeus che viene punito per i suoi misfatti nei confronti degli dei con l’impossibilità di raggiungere cibo e acqua che sono sempre a portata di mano – viene fuori un sistema articolato e diffuso, realizzato grazie a «una marea di compiacenze», come le ha definite il capo della squadra mobile Rodolfo Ruperti: medici che gonfiano l’entità delle lesioni per aumentare il risarcimento, reietti della società che vengono facilmente soggiogati, familiari che aiutano a inscenare i falsi incidenti, consulenti tecnici che forniscono false perizie. Sono due le organizzazioni criminali dedite a un business che, per ogni singola pratica assicurativa, fruttava tra i 100 e i 150mila euro. Con decine di casi accertati e tanti altri sui quali si sta ancora indagando. E che prevede in ogni caso sistematicamente il raggiro nei confronti delle vittime che non solo venivano mutilate ma spesso poi abbandonate, con la spartizione degli enormi utili solo fra i più stretti sodali.
Il capo e promotore è colui che si spaccia per perito assicurativo, Michele Cartabellotta. Una sorta di novello Saul Goodman che «pianificava e coordinava le frodi assicurative, occupandosi della gestione delle pratiche mediante il proprio studio di infortunistica MC e dell’anticipazione delle spese derivanti dalla organizzazione dei falsi sinistri». Successivamente gestisce direttamente i risarcimenti: o rivendendoli ulteriormente presso terzi acquirenti o dividendo le quote. Per far ciò si avvale dell’efficiente Francesco Faija, che organizza la messa in scena, predisponendo i luoghi e i mezzi e dando dettagliate istruzioni alle persone. Mentre il fratello Isidoro, detto Dorio, ha un ruolo più esecutivo, vale a dire è colui che provoca le fratture alle vittime consenzienti – e volte si fa aiutare da Francesco La Monica e da Lorenzo Di Michele (che è già passato sotto questo trattamento e dunque lo conosce bene).
Significative sono le dichiarazioni rese da Alessio Violante, una delle vittime di questo sistema criminale. E che in ogni caso è uno dei pochi che incassa tutta la somma di un sinistro. Una frattura del femore della gamba destra, provocata col solito metodo nel settembre del 2015, gli aveva fatto “fruttare” una liquidazione da 48mila euro (33mila in contanti e 15mila con un appartamentino in via Brigata Aosta). Con lui l’organizzazione criminale non va giù tenera: a provocare la frattura ossea è addirittura un trolley pieno di pietre. A nulla serve la blanda anestesia che gli viene fornita. Violante ha ben impresso nella testa quei momenti e li descrive agli inquirenti con dovizie di particolari: «Mi misero sdraiato a terra sul fianco sinistro, con la gamba destra appoggiata su due balatoni. Nonostante le mie rimostranze, dopo pochi secondi ho visto il trolley cadere sulla mia gamba. Avevo anche assistito alla preparazione del trolley, riempito con blocchi di pietra … il trolley è stato lanciato da Dorio. Poi mi hanno presso in braccio Dorio e Francesco “il secco”. A quel punto mi hanno portato sul luogo del sinistro e mi hanno lasciato a terra. Erano circa le 2,30 di notte, le strade erano pressoché deserte. Dopo avermi riposto per terra, iniziarono a preparare la scena del sinistro».
A far scattare le indagini una messa in scena andata a male. Forse troppo “esagerata”. È il 9 gennaio del 2017 quando gli agenti della polizia municipale arrivano in via Salemi, anonima strada di Brancaccio, in seguito alla segnalazione di un incidente mortale. Lì viene trovato il corpo di un extracomunitario, che più tardi viene identificato in Yacoub Hadri. Il tunisino presenta una strana frattura esposta di tibia e perone, appena coperta da una fasciatura. Il cadavere viene riesumato e con la perizia del medico legale vengono confermati i sospetti degli agenti di polizia giudiziaria: l’uomo non è morto a causa dell’incidente, a questo punto presunto, ma a seguito di un arresto cardiocircolatorio. A settembre del 2017 Francesca Cionti, compagna di Yakoub Hadri, racconta che in sede di riconoscimento della salma viene avvicinata da due uomini, che le restituiscono i documenti personali del deceduto e le propongono di intraprendere un’azione per il risarcimento dei danni derivante dall’incidente, chiedendole allo stesso tempo di consegnare loro la metà della somma. Chi sono quei due uomini? Francesco La Monica e Francesco Fajia.
Caltabellotta è il trait d’union tra le due organizzazioni. Chissà perché nella seconda di queste è noto come l’avvocato. Anche in questo caso, comunque, i ruoli sono ben definiti: i pianificatori sono Carlo e Gaetano Alicata, la frattura degli arti delle vittime è realizzata da Salvatore La Piana – che predispone anche, insieme a Antonino Di Pasquale, i mezzi di trasporto e accompagna, per controllarle ulteriormente, le vittime in ospedale -, mentre la fase di gestione successiva della pratica risarcitoria viene esercitata da Calogero Bellomo. In più Massimiliano Vultaggio assume un ruolo di vertice nella pianificazione delle truffe, mentre Maria Graziano si presta di solito come falsa responsabile degli incidenti stradali. Un’organizzazione anche questa spietata, che non si ferma di fronte a niente. Neanche quando tanti provano a ritrattare, di fronte la palese minaccia di una dolorosissima frattura. Come racconta agli inquirenti Luigi Silvestri, un tossicodipendente che racconta di essere stato intercettato per strada da Salvatore La Piana e Francesco Mocciaro. Come direbbe Manzoni, lo sventurato rispose. «Poiché quel giorno ero in astinenza, pur di incassare i soldi necessari per comprarmi la dose di cocaina, accettai. Inoltre mi hanno promesso di darmi del crack prima di farmi rompere le ossa. Tanto è vero che al magazzino di Bagheria, prima di farmi rompere, mi fu offerto di fumare il crack, cosa che fecero anche altre persone».
I metodi cruenti sono confermati anche dalle intercettazioni ambientali. In una di queste Antonino Di Pasquale, dopo aver accompagnato la vittima Vitale Papa all’ospedale Ingrassia e averla nel frattempo istruita su ciò che deve dire ai medici, commenta lo stato di Papa. «Il piede perso ce l’ha» riferisce al “compare” Salvatore La Piana, per poi aggiungere minaccioso: «A me mi devono dire solo: “rompi ad un altro”, io te lo rompo tutto». Mentre più tardi nell’informativa sono gli stessi inquirenti a segnalare come «dalla lettura delle nuove intercettazioni, e in particolare dall’ascolto delle conversazioni tra Salvatore La Piana e Franco Mocciaro, si evince il carattere giornaliero delle ricerche di nuove vittime, denominate dai due sodali, con sarcasmo e disprezzo, “porcellini d’India”».
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA PRECISAZIONE DI AICIS (ASSOCIAZIONE ITALIANA CONSULENTI INFORTUNISTICA STRADALE)
Il sig. Michele Caltabellotta non è né un Consulente di Infortunistica Stradale né un Perito Assicurativo in quanto non iscritto all’apposito Ruolo. Tale figura professionale che è, invece, ben regolamentata nel nostro ordinamento legislativo, prevede per l’abilitazione, un tirocinio formativo biennale obbligatorio, un complesso esame di Stato e precisi requisiti di alta moralità. A difesa dei propri associati, quindi, l’Aicis intende far presente che nonostante il frequente uso improprio che si fa di tale titolo, il Perito Assicurativo è un professionista molto preparato che opera in proprio con diligenza, correttezza e trasparenza, anche contribuendo in maniera significativa e a rischio della propria incolumità personale, allo smascheramento delle vere frodi assicurative negli incidenti stradali e nautici. Si ribadisce, quindi, che il sig. Michele Caltabellotta non è né un Consulente di Infortunistica Stradale né un Perito Assicurativo.
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