«Un delitto infame, ripugnante e abominevole». Sono queste le parole che il procuratore Pietro Scaglione sceglie per descrivere l’eccidio del primo maggio 1947, passato alla storia come la strage di Portella della Ginestra, una «punizione contro i contadini che allontanavano i banditi dalle campagne». Una strage che vede morire undici persone sul colpo, e tre alcuni giorni dopo a causa della gravità delle ferite riportate. Contadini, famiglie, bambini, sindacalisti, tutti riuniti insieme in occasione della festa del lavoro. Sfociata nel sangue quando il bandito Salvatore Giuliano spara sulla folla, riunita quel giorno anche per festeggiare la vittoria delle forze progressiste, raggruppate nel Blocco del popolo, alle elezioni regionali del mese prima. Sono da poco passate le dieci del mattino quando Giuliano e la sua banda aprono il fuoco su quella folla inerme, la vittima più piccola, Vincenza La Fata, ha solo otto anni.
Giuliano viene indicato quasi subito come il responsabile di quell’orrendo bagno di sangue. Il processo inizia a Palermo nel 1950, per poi venire spostato a Viterbo per il rischio che alcuni fattori esterni ne possano influenzare in qualche modo la celebrazione nel capoluogo siciliano. Tre anni dopo arriva la sentenza per Giuliano (ucciso nel 1950 a Castelvetrano) e per la sua banda: dodici ergastoli. Il processo d’appello si svolge a Roma e si conclude nel 1956, confermando alcune condanne, riducendo le pene per alcuni imputati e assolvendone altri. Nel frattempo, il 9 febbraio 1954, un caffè pieno di stricnina uccide all’Ucciardone Gaspare Pisciotta, cugino e luogotenente di Giuliano. Si dovrà attendere il 1960 perché la sentenza, confermata dalla Cassazione, diventi definitiva. Mentre undici anni dopo, la mattina del 5 maggio 1971, viene ucciso anche Pietro Scaglione, tra i primi a occuparsi della vicenda, freddato insieme all’agente di custodia Antonino Lo Russo mentre attraversano via dei Cipressi a bordo di una Fiat 1500 nera.
Sarà, molti anni dopo, la Commissione parlamentare antimafia, nel corso della XIII legislatura (1996-2001) a tornare sulla strage di Portella della Ginestra, desecretando una serie di materiali relativi ai fatti di sangue del primo maggio ’47. Chiedendo, a Camera e Senato, la pubblicazione dei documenti riuniti nella categoria «Mafia e banditismo», nella seduta del 28 aprile 1998, guidata dal presidente della Commissione Ottaviano Del Turco. Trentuno documenti, in tutto, che comprendono la copia di alcuni articoli di giornale dell’epoca, alcuni anche antecedenti la strage, atti parlamentari su banditismo e mafia, e documentazione sul separatismo siciliano, copia della sentenza emessa il 10 agosto 1956 dalla corte d’assise di appello di Roma contro Giuliano e la sua banda, ma anche gli atti relativi ad altri procedimenti, come quelli sull’omicidio di Francesco Piazza o sui danneggiamenti e la tentata estorsione contro alcuni familiari di quella piccola Vincenza La Fata, la vittima più giovane della strage, per oltre ottocento pagine suddivise in cinque parti distinte.
Un contenitore preziosissimo che mette insieme, come fossero le tessere di un puzzle, i pezzi di una vicenda che rivive ancora oggi, malgrado i 72 anni trascorsi. Ricordo che ogni anno porta numerose persone sul luogo del massacro. Domattina, infatti, alle 9.30 partirà un corteo dalla Casa del Popolo di Piana degli Albanesi fino al memoriale della strage, seguito da un dibattito insieme ad Enzo Campo, segretario generale della Cgil Palermo, al senatore Emanuele Macaluso e a Gianna Fracassi, vice segretario generale della Cgil, intitolato Lavoro, diritti, stato sociale: la nostra Europa. Sarà questo anche a Portella della Ginestra il tema scelto per celebrare la festa dei lavoratori, in continuità con le parole d’ordine che costituiscono l’appello che Cgil, Cisl e Uil lanceranno contestualmente a Bologna, città che ospiterà quest’anno la manifestazione nazionale dei sindacati.
Una manifestazione, quella fino al luogo dell’eccidio, che arriva puntuale come ogni anno, per ricordarci soprattutto che «per Portella, come del resto per le altre stragi che hanno insanguinato l’Italia, la verità giudiziaria o non c’è o è parziale e inadeguata, quella storica è stata in parte ricostruita ma rimangono vaste zone d’ombra», come ha più volte ribadito negli anni Umberto Santino, fondatore insieme ad Anna Puglisi del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato. Non è un caso, infatti, che sulla base di nuove acquisizioni documentali i familiari delle vittime abbiano più volte chiesto la riapertura dell’inchiesta, richiesta finora mai accolta. «Non possiamo accettare come Associazione dei familiari delle vittime il pessimismo di Leonardo Sciascia che nel 1979 a proposito di Portella scrisse: “Chi non ricorda la strage di Portella della Ginestra, la morte del bandito Giuliano, l’avvelenamento in carcere di Gaspare Pisciotta? Cose tutte, fino a oggi, avvolte nella menzogna. Ed è da allora che l’Italia è un Paese senza verità. Ne è venuta fuori, anzi, una regola: nessuna verità si saprà mai riguardo ai fatti delittuosi che abbiano, anche minimamente, attinenza con la gestione del potere”», ricordano oggi con rammarico i familiari delle vittime. Consci che anche questo 72esimo anniversario «sarà ancora una volta caratterizzato dalla mancanza di verità e di giustizia».
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