Avvenuto a metà tra la strage di piazza Fontana, a Milano, nel 1969 e quella di Ustica, il dramma di Montagna Longa del 5 maggio del 1972, a pochi chilometri dall’aeroporto di Palermo Punta Raisi, resta, per tanti, uno dei misteri della storia d’Italia del dopoguerra. Erano le 22.24 di un venerdì sera primaverile, alla vigilia dell’elezioni politiche, quando il volo Alitalia Az 112 partito da Roma e diretto a Palermo si schiantò, a quota 900 metri, contro la parete rocciosa di Montagna Longa. A perdere la vita furono 115 persone: 7 dell’equipaggio e 108 passeggeri . La causa, dopo un processo tenutosi a Catania, nel 1984 è stata liquidata come un errore dei due piloti, morti anche loro nell’incidente. Ma, dopo quasi cinquant’anni, il caso, dapprima non giudicato neanche come mistero irrisolto, potrebbe essere riaperto. I parenti delle vittime, infatti, non se ne sono fatti una ragione e sono andati avanti interpellando gli esperti in materia. Tra le cause che adesso vengono fuori c’è quella di un esplosivo impiantato sull’aereo, che quindi sarebbe detonato prima dello schianto.
A questa tesi si è arrivati dopo che i parenti delle vittime hanno chiesto una perizia a Rosario Ardito Marretta, docente di Aerodinamica dei flussi, che ha pubblicato le proprie ricerche dopo anni di rilevamenti in un libro edito dalla Cambridge Scholars Publishing. «Dopo quasi 50 anni si sono ritrovati i manuali tecnici del volo, abbiamo avuto la possibilità di ricorrere alle foto scattate dalla polizia scientifica e i fascicoli relativi a tutto l’iter processuale che si era tenuto a Catania – afferma Marretta ai microfoni di Direttora D’aria su Radio Fantastica – Grande supporto è stato dato anche dai docenti della facoltà d’Ingegneria di Palermo che ha finanziato la ricerca». Un’ampia analisi in cui a venire fuori sono stati prima di tutto delle cartelle relative all’aeromobile e i documenti di volo originali: elementi che oggi, rispetto a 50 anni fa, è stato possibile analizzare attraverso computer avanzati. «Con i calcoli matematici e aereodinamici si sono rilevate due stranezze che non lasciano spazio al dubbio – spiega il docente – La prima è che il registratore di volo, la cosiddetta scatola nera, sia stata manomessa. Dagli esami in laboratorio ci si accorti che il nastro è stato tranciato». L’aereo era stato revisionato il 30 aprile ma il dispositivo aveva registrato sette ore dopo l’inizio del primo volo partito l’1 maggio. Poi per quattro giorni nessuno dei piloti che si alternarono si accorse di nulla? Impossibile secondo il docente, anche perché un malfunzionamento di questo tipo sarebbe stato segnalato nella cabina di comando.
Un altro elemento determinante poi è emerso da i calcoli turbodinamici effettuati che ci indicano la possibilità di una deflagrazione prima dell’impatto. «In ogni studio si applicano le tre principali leggi della fisica – illustra Marretta – Ma dalla perizia il bilancio di queste tre leggi non è contemplato sul luogo dell’incidente, dove avremmo dovuto trovare i segni del combustibile incendiato prodotto dal crogiolo di fiamma: questi avrebbero dovuto essere in coda, invece dalle foto ritroviamo l’aereo contornato da un prato verde. Se non è stata bruciata prima, questa energia doveva essere bruciata altrove, ma non ci sono segni di questo tipo». Marretta sui suoi calcoli testati e pubblicati ha rilevato un minimo margine d’errore. Su questi dati adesso si auspica che la magistratura possa riaprire il caso definitivamente. «Come nei casi in cui si ha a disposizione il Dna utile a svelare alcuni casi di cronaca, perché adesso non si vanno a processare le sequenze a cui si è arrivati attraverso dei calcoli e dei processi che vengono effettuati sulla base di una legge? Se una legge è valida per condannare qualcuno, vorrei capire perché le mie equazioni non debbano servire a capire che lì possa esserci stato un attentato?», si chiede il docente.
I fatti giudiziari si conclusero dopo 12 anni. Dodici anni di processi in cui tra le varie tesi che si sono sostenute è quella che i piloti avrebbero potuto confondere le luci della pista d’atterraggio dell’aeroporto con altre avvistate in lontananza. «L’indagine venne fatta anche sul funzionamento di alcune lampadine ma, parlando anche con altri piloti, è una possibilità che viene immediatamente esclusa, perché metterebbe in dubbio la professionalità della categoria». È una delle testimonianze che ha raccolto Francesco Terracina nel suo libro L’ultimo volo per Punta Raisi: sciagura o strage?. Giornalista dell’Ansa e scrittore, Terracina ha iniziato a scrivere, mettendo insieme alcune ricostruzioni della vicenda, in un periodo in cui in Sicilia si legavano i rapimenti eccellenti alla mafia. «Ho avuto tra le mani il rapporto del vice questore di Trapani Peri, che comincia a capire che c’è un’unità di intenti tra mafia e terrorismo – osserva Terracina – Così inizia a investigare producendo un rapporto al cui interno mette due pagine che parlano dei fatti di Montagna Longa, giudicandolo come un episodio che non ha niente a che vedere con l’incidente casuale».
Il vicequestore mette su delle osservazioni grezze. A questi fatti Terracina associa quelle che considera «incongruenze processuali». «Le sentenze parlano di errori dei piloti, poi dicono che gli errori gravissimi dei piloti sono in contrasto con la professionalità degli stessi – conclude Terracina – Dei processi fatti in maniera protocollare, dove molte cose sembrano essere state fatte in maniera approssimativa: per esempio, non esiste il tracciato radar, perché non è stato mai chiesto. Adesso si potrebbero riaprire le indagini? La procura di Caltanissetta aveva aperto un fascicolo ma sulle evoluzioni non si sono più avute notizie».
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