Buongiorno. Oggi parleremo dell’uso dei social da parte delle Istituzioni a proposito dell’Apocalisse in atto in Sicilia (a voi sembra un fenomeno passeggero e causato da eventi imprevedibili, io invece ci vedo l’Apocalisse. Posso?).
Premetto.
Il mio uso dei social è disastroso. Parlo con chi non dovrei parlare. Litigo con chi meriterebbe solo una distante indifferenza. E di notte, quando i fantasmi mi perseguitano, scrivo post che cancello la mattina successiva. Se non sono troppo impegnato a litigare con mia sorella.
Ma io non sono istituzionale. Semmai sono l’esatto contrario: lo so e mi diverto per questo. Ma so cosa sono le parole, so che esse sono forma e so come dovrebbero usarle le istituzioni.
Premetto quanto sopra poiché, su Facebook, ho assistito a fenomeni che mai mi sarei aspettato. E ieri, di fronte a una comunicazione impazzita, persino colui che dovrebbe essere il capo della comunicazione istituzionale ha clamorosamente toppato.
So benissimo che la comunicazione in Sicilia è vista come una cosa che dovrebbe decantare la bellezza e la congruità di ogni iniziativa e l’intelligenza somma della nostra terra, per non parlare delle bellezze e soprattutto della cultura: minchia ho visto comunicati stampa che pare che agli assessori dovevano darci il Nobel per la Letteratura o poco ci mancava!
Lo so che ADORATE le splendide cornici e i paesi barocchi come bomboniere, lo so che avete una estetica da vetrinetta della nonna con le cornici in silver e i ricordi dei matrimoni e dei battesimi.
Lo so che il massimo della complessità alla quale arrivate è il contrasto mare-montagna (tipo funghi e gamberetti), l’ospitalità e la riservatezza, la neve e la spiaggia, il nero del vulcano e il bianco del tufo, la minchia e il pacchio…
Eppure il mondo accade anche senza le vostre banalità.
E dunque veniamo ai social.
Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare neanche se andate a drogarvi in discoteca come fanno molti adolescenti e post-adolescenti e anche qualche quasi settantenne (lo dicono le cronache, mica io).
Ho visto commissari scendere nell’agone social quando è sin troppo chiaro che si stava andando al martirio.
Ho visto professori universitari, sparati direttamente nello spazio per il loro irreale ottimismo, discutere con la zia Pina, che giustamente era incazzata abbestia perché, magari, aveva i nipoti che vede una volta l’anno dispersi trazzere trazzere.
Ho visto istituzioni non rendersi conto che sui social ci sono tre fasce di utenti.
1) Coloro i quali subiscono i disagi e hanno la loro sacrosanta ragione di lamentarsi (manco quello possono fare?).
2) Coloro che a causa di manovre politiche sono stati estromessi dalla comunicazione istituzionale e quindi hanno solo i social per le loro vendette, o per i loro punti di vista contrari al potere che fino a ieri hanno gestito.
3) Le istituzioni che, come è ovvio, non sono un blocco compatto e granitico (e meno male) e che anzi, spesso e volentieri, vorrebbero approfittare di situazioni di disagio per allargare il loro potere (ogni potente ritiene che la sua fame di potere sia una cosa buona e giusta per la società, è un po’ una malattia mentale ma il potente ragiona così).
Scendere nell’agone social per combattere una battaglia di piazza contro le categorie sopra descritte è come volere svuotare il mare col bicchierino da sommelier.
Ho visto un commissario (non di Polizia) dire a coloro che soltanto volevano sapere quando minchia partiva l’autobus per Palermo, cose del tipo: informatevi dell’iter burocratico Enac, Sac, compagnie aeree. Ma perché si dovrebbero informare? Sono utenti. Non è che gli danno lo stipendio da commissario di qualcosa (tipo una Camera di commercio) per essere informati. Quelli l’aereo vogliono prendere. E se devono fare il lancio del nonno sull’autobus, giustamente, gli girano le balle. Invitarli a informarsi sulla catena di comando è fuori luogo: non sono pagati per questo e pagano per avere dei servizi che all’improvviso esplodono e impazziscono. Che poi il commissario, sui social arrivi a dire: «Abbiate la dignità di stare muti», ricorda un po’ troppo il Nello quando diceva: «Le persone perbene se ne stanno mute a casa». «Muti» questa gran stracoppolazza di minchia odorosa di aurora al mattino con la brezza delicata di un giorno che nasce.
Anche un professore universitario con carica istituzionale, un po’ troppo entusiasta e ottimista nei confronti della vita, manco che era Sabbo La Rosa #cuttuttucori, è atterrato su Facebook credendo di parlare con la nonna che ha un paio di nipoti dispersi per le trazzere della Sicilia in cerca di un qualsiasi aeroporto, di una bottiglia di acqua, di una flebo, secondo le regole delle lezioni universitarie.
Adesso, che per lamentarsi di disservizi (a prescindere da chi sia la causa, io non parlo mai di colpa) bisogna essere laureati in Gestione della minchiata che ti arriva all’improvviso, ma anche no. Cerchiamo di non pretendere troppo dai siciliani appiedati o dai turisti con una settimana di ferie (e quattro di viaggio). Oppure facciamo prendere l’aereo e viaggiare solo i laureati che ne capiscono così se li riproteggono, li dirottano, si devono fare cinque ore di bus tra gli incendi dopo che prima di partire, essendo senz’acqua, non si sono potuti fare manco il bidet, se ne stanno muti perché conoscono le mille complicazioni della gestione?
Ribadisco: io sui social sono un cazzone ma non ho ruoli.
Voi che avete ruoli, da chi minchia vi fare consigliare per la comunicazione social? O pensate che scrivere post e commenti in cui informate le persone che vagano come zombie tra un bus e un aeroporto, o i vostri ex amici oggi nemici, o i vostri concorrenti politici, delle specifiche burocratiche del vostro lavoro sia una buona idea? I primi se ne stracatafottono, i secondo se ne stracatafottono, i terzi, invece, se ne stracatafottono.
Come sempre, infine, il pesce decide di postare dalla testa.
Ovviamente i giornalisti esteri fanno il loro mestiere, e sono costretti (loro malgrado, mica sono contenti) a far presente che in Sicilia ce la stiamo un po’ vedendo col Signoruzzo.
Ritenere che una foto della spiaggia di Agrigento, per quanto bella (mia mamma, buonanima, era di Porto Empedocle) possa cancellare i problemi reali dell’isola mi pare strano. L’anno scorso mi pioveva in casa, non è che mi guardavo le foto di un paesaggio. A’ppa’ffari acchianare l’operai ndo tetto!
Lo dico con tutto il rispetto dovuto.
In casi come questi la comunicazione è tutto o quasi.
Davvero pensate che un vostro post in cui dite «io sono io e voi non siete un cazzo» sia una buona idea?
O dire «la Sicilia bedda è» basti?
Dico questo perché le dinamiche della folla scontenta sono note (e adesso vedremo che succede con la cancellazione del reddito di cittadinanza). Non vorrei che magari vi venisse l’idea di scendere tra la folla in fila agli autobus per andare a scattiare chissà dove, armati di megafono e fotografie, a dire loro: «RAZZA DI IGNORANTI! LA SICILIA BEDDA È».
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