«Negare la storia? Una cosa ormai di moda, purtroppo». Non sembra affatto stupito Antonino Blando, professore di Storia contemporanea dell’Università di Palermo, di fronte al caso sollevato dal giornale la Repubblica del docente finito sotto inchiesta perché avrebbe negato la Shoah con i suoi studenti. Gino Giannetti, questo il suo nome, è un insegnante di Discipline plastiche al liceo artistico Eustachio Catalano, e secondo i racconti di alcuni suoi alunni sarebbero stati tanti, nel corso dell’anno, i commenti personali a cui si sarebbe lasciato andare su lager nazisti ed ebrei: dalle offese a Primo Levi, che secondo lui sarebbe «una testa di cazzo e un coglione», al presunto invito rivolto ai ragazzi a iscriversi a Forza Nuova. Le segnalazioni degli studenti sono arrivate fino al dirigente della scuola Maurizio Cusumano, che ha inoltrato un esposto, facendo partire le indagini della Digos e della procura di Palermo.
«Oggi non si nega solo la storia – torna a dire intanto il docente di Unipa -, questo è un fenomeno che riguarda diversi ambiti del sapere. Per la storia forse è più eclatante, ma succede anche per la medicina. C’è chi si informa e si cura con rimedi trovati su Internet, chi parla di complotti internazionali, chi ti guarisce da malattie terminali con cure palliative. E la gente purtroppo crede a tutto. La storia da questo punto di vista non è esente». Anche se, a sentire il docente, ci sono casi e casi. «Parlare ad esempio della storia degli antichi egizi, dell’impero carolingio o ancora dei romani può essere diverso, magari c’è poco da dire, si dovrebbe conoscere un po’ di latino e un po’ di greco, ci vuole insomma una certa specializzazione». Come se, in un certo senso, avventurarsi nei meandri di opinioni personali e alternative sia meno probabile e quindi meno diffuso. E forse magari sarebbe anche meno d’impatto. Diverso invece quando ci si addentra nella storia più vicina a noi, sembra quasi che in fatto di storia contemporanea ognuno si senta libero di dire ciò che vuole perché è un ambito in cui chiunque, in qualche modo, s’è fatto qualche idea.
«Chiunque avrebbe qualcosa da dire sul fascismo piuttosto che sull’impero spagnolo, si chiama uso pubblico della storia», spiega il professore Blando. Che però, di fronte anche alla vicenda odierna, può avere implicazioni pericolose. Un conto sarebbe esternare certe opinioni, per quanto discutibili, nel privato della propria casa, magari in compagnia di qualche amico. Altra cosa invece sarebbe esternarle di fronte ai propri alunni, nei confronti dei quali si riveste, almeno sulla carta, il delicato ruolo di educatore e formatore. Come difendere gli studenti da tutto questo? «Più che difendere, la scuola dovrebbe dare degli strumenti critici ai ragazzi, che sono i primi che oggi leggono e si informano esclusivamente sui social network, realtà dove purtroppo l’ignoranza la fa da padrone. La scuola dovrebbe servire a fare da argine – osserva -, come a dire ai ragazzi “voi giocate e scherzate ma ci sono delle cose che non si possono dire e non si possono fare”. Ma quando succede che i docenti stessi finiscono per essere, a loro volta, dei giocatori come tutti gli altri, allora finisce il loro ruolo».
Un ruolo che, secondo lui, da tempo viene già messo in discussione. «Al di là di episodi simili, tutti i docenti oggi, dalle scuole medie fino all’università, hanno un po’ perso quell’aurea di superiorità e autorevolezza vantata in passato. Oggi se dai un brutto voto a uno studente il rischio è di ritrovarti sotto casa i suoi genitori che vogliono picchiarti. La funzione degli insegnanti, quindi, per altri aspetti è già cambiata da tempo, e in negativo, è stata compromessa». Ma quando non sono studenti e famiglie ad esautorare l’insegnante, il rischio è che, al contrario, sia il docente stesso a dimenticarsi del proprio ruolo. Negando o reinterpretando cose accadute e che sono oggi patrimonio di tutti, come sembrerebbe in questo caso. Ma come si fa? «Non si fa, è l’effetto perverso di tutto questo meccanismo – torna a dire il professore Blando -. E poi la storia contemporanea quasi non si studia più oggi, è tutta una catena che tiene in piedi questo ragionamento. La scuola non può dare tutto ai ragazzi, ma alla base ci sono proprio, più che le nozioni, quegli strumenti critici che forse in pochi oggi sono in grado di fornire».
Mentre le indagini in corso accerteranno i contorni della vicenda che vede protagonista il professore del liceo artistico, sui social impazza la polemica. E in pochi, cercandolo su Facebook, gli hanno risparmiato duri commenti. Tra questi c’è anche un altro insegnante, Assad Sury: «Chi le scrive è un arabo palestinese che ha studiato a Firenze dove ha conseguito una laurea e un dottorato – spiega l’utente -, adesso insegno anche io ma ancora non mi sento professore perché ho molto da imparare per potermi permettere questo nobile titolo. Ritornando alla questione Shoah devo dirle che lei è un indegno, un essere ignobile senza scrupoli, uno pseudo fricchettone da quattro soldi che si permette di offendere la memoria di oltre sei milioni di esseri umani. Si vergogni. E la prego, se lei ha il dente avvelenato contro i miei fratelli ebrei perché è pro palestinese lasci perdere, stia lontano da noi perché gente come lei è il vero nemico del mio popolo che soffre da tanti anni e non certo per colpa d’Israele. Bravi agli studenti del liceo artistico di Palermo che hanno mostrato più saggezza di lei, onore agli insegnanti e al preside per aver preso provvedimenti».
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