La scorta per difendere memoria del giudice Borsellino  «Tuteliamo questo luogo sacro da strumentalizzazioni»

Dove è finita l’agenda rossa? Dopo 29 anni di indagini, processi e dibattiti, la domanda non ha ancora trovato nessuna risposta ufficiale. Al punto da potere apparire perfino banale, se non fosse che a porla ai volontari della Scorta per la memoria di Paolo Borsellino è una bambina di appena dieci anni. «A scuola le stanno facendo leggere un libro di Falcone e Borsellino e voleva sapere di più», spiega il padre ai volontari dei gruppi Agende Rosse e La Casa di Paolo, l’ex farmacia della famiglia Borsellino da circa sei anni adibita a meta per i pellegrini e che si occupa di dirigere il lavoro di pubblica utilità dei soggetti sottoposti a pene alternative assegnati alla Casa di Paolo. «Prendi questa, è un ricordo dell’agenda rossa sparita dopo la strage», rispondono i volontari porgendo alla bambina un piccolo manufatto a forma di agenda realizzato dai soggetti sottoposti a misure alternative. «E dove è finita?», chiede incuriosita la bambina. «Vorremmo saperlo anche noi», è la risposta sorpresa dei volontari. 

Paolo, Agostino, Claudio, Emanuela, Vincenzo, Walter. Sono i nomi degli agenti della scorta del giudice Borsellino impressi a caratteri cubitali nelle pettorine rosse (per richiamare il colore dell’agenda del giudice sparita subito dopo l’attentato di via D’Amelio) dei volontari posti a presidio dell’albero della pace. Ovvero l’albero di ulivo piantumato il 19 luglio del 1993 nella buca formatasi a seguito dell’esplosione della Fiat 126, per iniziativa di Maria Pia Lepanto, la madre del giudice. Nei ciottoli che circondano l’aiuola si possono leggere i nomi di chi, passando da lì ha voluto lasciare una traccia. Davanti all’albero c’è il banchetto allestito dai volontari della Scorta per la memoria, persone di ogni età e da tutte le parti di Italia: c’è chi arriva da Palermo, chi da Catania e chi dalla Campania. Ognuno con la sua storia, ognuno con i suoi ideali. Dalle stragi alla politica, passando dalla magistratura, gli argomenti sono tanti. Nel mirino c’è anche lo Stato. «Come si fa ad abbandonare le famiglie delle vittime di attentati di mafia?», si chiedono gli attivisti. Come Graziella Accetta, madre del piccolo Claudio Domino ucciso con un colpo di pistola alla testa il 7 ottobre del 1986. Anche lei presente alla mobilitazione per chiedere giustizia dopo 35 anni in cui non è ancora emersa una verità e un colpevole.   

L’iniziativa, promossa da Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, prevede tre mesi di presidio (dall’1 maggio al 31 luglio) al civico 21 di via D’Amelio «per difendere un luogo sacro da qualsiasi tipo di strumentalizzazione», spiega Rosaria Melilli, tra i coordinatori dell’iniziativa insieme a Davide Minio. Il riferimento è alla visita in via D’Amelio dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, che giunto in Sicilia in occasione del processo che lo vedeva imputato per sequestro di persona nell’ambito del procedimento Open Arms, ha deciso di passare anche da lì indossando la mascherina con l’effige del giudice ucciso il 19 luglio 1992 nell’attentato di via D’Amelio. «Così è nata l’idea di una grande mobilitazione – aggiunge Melilli – alla quale stanno partecipando persone di tutta Italia e che si sta rivelando fondamentale per divulgare le attività del movimento». 

Un modo per non dimenticare e proseguire nel racconto della storia di Borsellino e di tutte le vittime della mafia. Tra questi anche Agostino Catalano, l’agente di scorta che il 19 luglio del 1992 faceva parte della scorta del giudice Borsellino e che è stato ricordato ieri, nel giorno in cui è nato. «Ci chiamano eroi, ma non lo siamo, i veri eroi sono altri – dice Antonio Vullo, l’unico agente superstite all’attentato del 1992 e presente alla commemorazione di Catalano -, Agostino, quel giorno, aveva scelto di non lasciare solo il giudice Borsellino». Storie che non tutti conoscono e che la scorta si pone l’obiettivo di divulgare. «Perché nonostante via D’Amelio sia un luogo che a Palermo conoscono tutti – ammette Melilli -, non sempre si ha contezza della storia che c’è dietro e quindi è un’emozione continua». 

Sul manto stradale è stata dipinta la segnaletica orizzontale che impedisce il parcheggio selvaggio al centro della via. «Su nostra richiesta, il Comune ha provveduto a disegnare le strisce pedonali – spiega Melilli -, un riscontro importante per dare finalmente un minimo di dignità a Paolo». Perché, continua la coordinatrice, «come dice Salvatore, bastava un semplice divieto di sosta e probabilmente la storia sarebbe stata diversa». Per presidiare via D’Amelio, inoltre, è stata installata una telecamera al castello Utveggio, puntata in direzione dell’albero della pace che permette a chiunque, ogni giorno e in tutta Italia, di vedere quanto succede al civico 21 di via D’Amelio. Così da impedire lo «sciacallaggio mediatico», è il messaggio lanciato dagli attivisti. «Presto riusciremo a illuminare l’albero con i colori della bandiera italiana – assicura Melilli -, stiamo solo aspettando che il procedimento autorizzatorio faccia il suo corso e a breve riusciremo a renderlo più visibile». Una soddisfazione per chi, come Rosaria, è volontaria del gruppo di Paolo Borsellino dal 2009. «Vivevamo gli anni antecedenti al 1992 come se fossimo assuefatti – sostiene Melilli – Tutto si risolveva con la considerazione “tanto si ammazzano tra di loro, basta restarne fuori”, ma in realtà così non è». 

Gabriele Patti

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