La sartoria dei vestiti «per ricucire il tessuto sociale» A San Cristoforo una collezione ispirata ai giocolieri

Donne riunite in un cortile e macchine da cucire nelle loro case. È questo che la stilista  Amelia Alessia Cristaldi ha visto quando ha rivolto lo sguardo al quartiere San Cristoforo. Uno spaccato di vita quotidiana che l’ha spinta a proporre un corso di cucito alle donne del luogo tramite il centro sociale Midulla. «Affacciandomi dentro quei palazzi – dice a MeridioNews – le ho viste stare tutte insieme. E ho immaginato che quelle case contenessero non solo macchine da cucire ma anche preziosi saperi». È nata così la Sartoria sociale Midulla, oggi alle prese con la prima collezione, ispirata agli artisti di strada e presentata in anteprima alla seconda festa di autofinanziamento dell’Ursino Buskers.

Cinque i capi che saranno in mostra domani 7 agosto al Castello Ursino, mentre per gli altri occorrerà attendere lo svolgimento dell’Ursino Buskers. «In tutto saranno una quindicina – prosegue Cristaldi – Ma è la prima volta che presentiamo una collezione di capi commerciabili, con la speranza di ricevere ordinazioni e richieste di acquisto». Il collegamento con l’evento di giocoleria non è casuale. «Stiamo lavorando a capi che si ispirano al mondo degli artisti di strada e che, quindi, consentano determinati movimenti. Ma non si tratta di costumi di scena, bensì di indumenti per il quotidiano, che faremo indossare sia a donne che a bambini».

La collaborazione con la performance di strada non è nuova, la sartoria sociale ha già realizzato alcuni costumi un anno fa. La crescita del progetto è stata graduale. «L’ho proposto al centro Midulla poco più di un anno fa ma, inizialmente, abbiamo incontrato la diffidenza della gente del luogo», racconta Cristaldi. Da lì l’idea di un appuntamento fisso in strada. «Ogni venerdì mattina siamo a San Cristoforo e cucendo per strada siamo riusciti ad attirare l’attenzione e la curiosità delle donne che ci chiedevano informazioni e che poi si sono iscritte al corso».

Parola d’ordine: «Imparare facendo. Questo lo spirito con cui le nostre donne si sono messe in gioco realizzando le prime creazioni». Le ambizioni del progetto non si limitano all’aspetto ricreativo. La sartoria sociale vuole creare lavoro. «Al momento, ci finanziamo con il fondo della associazione, creata a sua volta con i proventi ottenuti grazie alla collaborazione con la costumista Isabella Rizza, che ci ha consentito di esportare il nostro lavoro fino a Roma, commissionandoci abiti e pagandone i tessuti. Con la nostra prima collezione speriamo di fare il grande salto: vendere i capi e consentire alle nostre donne di iniziare a guadagnare», conclude.

Antonia Maria Arrabito

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