La riforma dell’urbanistica passa per il certificato verde Esperta: «Passo avanti, ma resta consumo del suolo»

Certificato verde. Un documento che diventerà necessario in Sicilia per costruire. È la rivoluzione in ambito urbanistico prevista dal nuovo disegno di legge che è stato votato all’unanimità da tutti i componenti della commissione Ambiente all’Ars. «Ogni attività di nuova costruzione, ampliamento o trasformazione urbana ed edilizia del territorio che comporti un aumento del carico urbanistico, sia di iniziativa pubblica che privata, è orientata alla rigenerazione del patrimonio insediativo esistente». 

Il senso del ddl – al momento sostenuto non solo del governo ma anche dal Movimento 5 stelle, che si è detto pronto a votarlo rispondendo così a distanza agli ex colleghi approdati ad Attiva Sicilia – è creare un «procedimento permanente di rigenerazione urbana equo e sostenibile», si legge nel documento, con l’obiettivo di contenere le aree da urbanizzare ex novo, almeno fino a quando non siano state utilizzate le potenzialità insediative delle aree già edificate comprese dei centri urbani. «Guardando i dati dell’Ispra relativi al consumo di suolo in Sicilia ci rendiamo conto – spiega a MeridioNews Annamaria Pace, architetta e attivista di Legambiente – che, soprattutto nelle province di Catania, Ragusa e Trapani, ogni anno vengono consumati quasi tremila metri quadrati a ettaro». 

Tra gli obiettivi del disegno di legge, composto da 53 articoli, c’è soprattutto il consumo del suolo tendente a zero entro il 2050. «Un giorno importante per la Sicilia e per la stagione delle riforme – è il commento dell’assessore regionale al Territorio Toto Cordaro – È un obiettivo che rifonderà, a distanza di 42 anni, il sistema dell’urbanistica nell’Isola, ponendo la regione siciliana all’avanguardia». L’obiettivo, come si legge nel disegno di legge, è «prevedere lo sviluppo delle città in modo armonico, sostenibile e durevole per promuovere la bellezza dei territori, la salubrità dell’ambiente e il miglioramento della qualità di vita». 

Chiunque intenda realizzare un intervento edile in un centro urbano che comporti una nuova occupazione di suolo, «acquisisce un’equivalente porzione di territorio in area di rigenerazione». Ovvero in una zona urbana degradata o con maggiore esposizione al rischio sismico di scadente qualità costruttiva. Lì, a proprie spese, dovrà prima demolire le strutture già esistenti e poi, sul suolo disponibile, realizzare opere di urbanizzazione primaria. Strade, parcheggi, fognature, reti idriche, di distribuzione dell’energia elettrica o del gas, impianti di pubblica illuminazione, piccoli spazi di verde attrezzato. Fatto questo, «tutta la superficie è ceduta all’amministrazione comunale che provvede al collaudo delle opere di urbanizzazione primaria eseguite al suo interno». A collaudo avvenuto, sarà l’amministrazione a rilasciare al costruttore il certificato verde per le nuove costruzioni.

«Creare un certificato verde per le costruzioni – sostiene l’architetta Pace – ha un limite perché sottovaluta l’importanza degli spazi vuoti nei contesti urbani: demolire un immobile per costruire altro non supera il problema del consumo del suolo». Riuscire a limitare la cementificazione nelle città è fondamentale anche per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sul territorio. «In questo senso – aggiunge Pace – non mi pare che questa possa essere la soluzione più efficace: bisognerebbe piuttosto fare in modo che il suolo non venga soffocato dal cemento ma venga reso permeabile. Anche se viene chiamato certificato verde – conclude l’architetta – non so fino a che punto lo sia davvero».

Marta Silvestre

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