«Si bonifica quello che è inquinato o che inquina. Quello che non lo è si chiude e basta». I tecnici e il personale della discarica Oikos di Motta Sant’Anastasia lo avranno precisato decine di volte, durante il tour per la stampa nell’impianto di Valanghe d’inverno. Lo dicevano ogni volta che qualcuno chiedeva loro: «Tiritì?». Tiritì, fino a qualche giorno fa, aspettava. Era in attesa che la Regione approvasse l’«adeguamento al progetto di chiusura» che era stato autorizzato nel 2007, con l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) concessa alla società della famiglia Proto per l’abbancamento della spazzatura in quella contrada. Nel frattempo sulla distesa di spazzatura interrata l’impresa ha piantato palme e ulivi che colorano di verde il terreno argilloso accanto al quale sorge la discarica mottese ancora attiva.
Il via libera alla chiusura è arrivato il 24 settembre, pubblicato a firma di Antonino Rotella, dirigente del Servizio 8, quello che a Palermo si occupa di «Autorizzazioni impianti gestione rifiuti». In otto pagine viene ripercorso il complicato iter seguito dalla discarica di Tiritì, la struttura che sta alla base di tutte le proteste dei comitati No discarica di Motta e Misterbianco. Per gli attivisti, è il peccato originale. Lì, secondo quanto sostenuto dall’azienda, non vengono più portati rifiuti dal 2013. Anno dopo il quale è entrato in attività il sito limitrofo di Valanghe d’inverno. Secondo il decreto regionale, Tiritì potrà essere chiusa – o meglio, tombata – «nei casi, alle condizioni e nei termini stabiliti dall’autorizzazione». Perché, per dirla semplicemente, la legge prevede che quando si propone una nuova discarica si abbia già un progetto per quando sarà esaurita.
Le cose, però, non sono sempre state così semplici. C’è stato un momento – era il 2014 – in cui il dipartimento regionale Acque e rifiuti aveva previsto la chiusura sulla base di un provvedimento «conseguente a gravi motivi, tali da provocare danni all’ambiente e alla salute». In altri termini: cinque anni fa, secondo la Regione Siciliana, era possibile che discarica di Tiritì inquinasse. E c’era il rischio che non potesse essere sbarrata e basta, bensì – se i controlli ne avessero evidenziato la necessità – bonificata. Viene avviato un lungo percorso di indagini e accertamenti, dopo il quale il progetto di chiusura viene «aggiornato» dall’azienda dei Proto per tre volte. La prima a giugno 2018, la seconda a novembre dello stesso anno e la terza a febbraio 2019. A causa di «variazioni nella morfologia del sito», spiegavano in discarica i tecnici di Oikos.
L’ultimo aggiornamento è quello buono. Così si «prevede l’applicazione del pacchetto di copertura per l’intera area interessata dai rifiuti, indipendentemente dalla data di abbancamento degli stessi». In altri termini: non importa quando la spazzatura sia stata portata a Tiritì, saranno tutti coperti allo stesso modo. Del resto, sostiene la Regione, «nessun pregiudizio deriva ad alcuno come conseguenza dell’adottando provvedimento». Ancora una volta, in altri termini: tombare Tiritì non darà fastidio ai cittadini né determinerà «ulteriori effetti negativi e significativi sull’ambiente o sulla salute umana», accelerando «la tempistica dei lavori di chiusura rispetto al cronoprogramma articolato in 24 mesi». I lavori dovranno così concludersi in un anno.
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