La Pietra del Malconsiglio a Palazzo degli Elefanti Un pezzo di storia etnea abbandonato e ignorato

L’uomo non è libero nemmeno in sogno
e anche l’immobilità della pietra non è libertà,
perché la pietra dura
fino a quando il tempo non la riduce in polvere.
(Maksim Gorkij)

Catania ha avuto un passato molto tormentato e la sua storia è scritta nelle sue pietre. Una di queste in particolare racconta un capitolo dimenticato della storia di Sicilia, un capitolo scritto col sangue dei suoi abitanti i quali anelavano l’indipendenza e la libertà: la Pietra del Malconsiglio. L’origine di questa pietra è sconosciuta, sebbene non manchi lo studioso pronto a giurare si tratti di un capitello appartenuto a un tempio pagano (vi è persino chi lo attribuisce a Iside o a Serapide), l’unica cosa certa è la sua presenza nel 1516 in un giardino presso il Piano dei Trixini, oggi misero slargo antistante la Procura.

Era il 23 gennaio e in Spagna moriva re Ferdinando II, lasciando il trono all’infante Carlo. La crisi politica che conseguì non tardò a manifestarsi: la Sicilia, la cui autonomia fu soppressa nel secolo precedente, mosse contro l’esercito reale. L’allora viceré Ugo di Moncada fu convinto a non dimettersi dal suo ruolo per cedere il passo a Ettore Pignatelli; ne scaturì una duratura guerra civile il cui esito, fosse stato positivo per i siciliani, avrebbe significato il restauro della corona indipendente. La rivolta partì da Palermo, ma giunta a Catania si fece più accesa. I catanesi avevano una ragione in più nella ribellione: la perdita del privilegio del rango di capitale ottenuto alla fine del Duecento.

Nella città etnea i ribelli si riunirono presso i ruderi di un edificio antico tra cui spiccavano un macigno cilindrico ed un altro rettangolare, aventi entrambi pressappoco le stesse misure. Per tre anni i catanesi diedero fiera dimostrazione del proprio valore, fino a una data imprecisata, quando i cospiratori, colti a tradimento, furono sorpresi riuniti davanti al macigno cilindrico e lì trucidati. La pietra, sozza del sangue ribelle, fu trasferita nell’allora piazza principale cittadina, il Piano della Fiera oggi piazza Addamo, e prese la denominazione di Malconsiglio. L’orrore del sangue avrebbe fatto da monito per gli anni a seguire, almeno fino al 1535, anno in cui scadette il mandato del viceré Pignatelli, ricordato per il suo braccio duro nei confronti delle rivolte siciliane. Moncada, invece, ottenuto il perdono reale, fu nominato viceré di Napoli durante l’assedio francese del 1527, trovando una eroica morte da solo contro un avversario forte di un esercito ben maggiore.

Dimenticata dopo il sisma del 1693, la Pietra del Malconsiglio venne ritrovata nel 1872 e pietosamente riportata grossomodo nel punto in cui si trovava in antico. Per molti anni giacque nell’angolo nord-occidentale del secondo cortile del Palazzo Carcaci ai Quattro Cantoni, a contatto con gli sgangherati tubi di scolo di quest’ala dell’edificio, all’aperto, a subire le intemperie del tempo. Nel 2009 cambiò qualcosa e si decise di trasferirla all’ingresso del museo civico al Castello Ursino, dove rimase fino al l’autunno del 2014 senza una indicazione che ne rammentasse l’importanza storica. Nonostante una scuola di Librino fece spontaneamente donazione di una targa realizzata con i fondi di un progetto Por il 28 maggio 2013.

Da poco meno di un anno, la Pietra del Malconsiglio si può ammirare all’interno del Palazzo degli Elefanti, dove una targa metallica riporta una descrizione forse troppo sintetica e pertanto imprecisa, nell’atrio occidentale proprio di fronte allo scalone d’onore, circondata da altre pietre ormai senza memoria, ignorata dal flusso di turisti che si immortala nei selfies all’ombra del Liotru.

Iorga Prato

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