La mostra di Chiaramonte sulla Sicilia del 1970 «Ogni siciliano ha bisogno di aprirsi alla speranza»

Dall’oblio di una cantina al Castello Ursino di Catania. Sono le 50 istantanee, in bianco e nero, scattate dal fotografo Giovanni Chiaramonte nell’estate del 1970, in diversi Comuni della Sicilia sudorientale che, fino al 23 luglio, saranno esposte all’interno del maniero federiciano. Negativi in gran parte mai stampati, ritrovati per caso dal fotografo e recentemente pubblicati da PostCart all’interno del volume Ultima Sicilia, che dà il titolo anche alla mostra. 

Organizzata dell’Accademia Abadir, in collaborazione con l’Assessorato ai Saperi e alla Bellezza Condivisa del Comune di Catania, l’esposizione propone degli scatti di un giovanissimo Chiaramonte prima della sua ascesa, che diventano una testimonianza inedita di un mondo scomparso e di un uomo divenuto altro rispetto a quell’epoca. «Questo mio lavoro della giovinezza, che ho riproposto adesso – spiega Chiaramonte a Meridionews -, intende riaprire, nell’ultima parte della mia vita, tutta la gioia e la luce dell’inizio». 

Nato nel 1948 a Varese, da genitori originari di Gela, Giovanni Chiaramonte inizia la sua carriera di fotografo e fotoreporter negli anni Sessanta, operando per la ripresa della forma figurativa, seguita alla grande stagione astratta e informale di certe tendenze della Pop-Art e dell’Arte Concettuale. Attraverso la straordinaria forza narrativa dei suoi lavori ha realizzato, nel corso degli anni, mostre personali e collettive in tutto il mondo, ha pubblicato un centinaio di servizi per le più importanti riviste di architettura, fondato e diretto collane di fotografia di livello internazionale, diventando un punto di riferimento per comprendere la direzione dell’arte fotografica in Italia

Con Ultima Sicilia Chiaramonte ritorna sul suo primo progetto fotografico, testimoniando un legame intenso e duraturo con l’isola dove, ancora oggi, trova le motivazioni che lo hanno sostenuto nel corso degli anni. «Quel viaggio che ogni estate, fin dagli anni Cinquanta, ho fatto dal Nord per tornare verso quel sud estremo, che è Gela, mi ha sempre fatto riflettere sul destino dell’uomo – racconta Chiaramonte -. Ogni individuo nasce in esilio, lontano da se stesso, e tutto il cammino della vita è cercare di prendere fino in fondo la ragione dell’inizio, di quell’amore che ci ha fatto venire alla luce e che ci dà la forza per continuare a vivere». 

Un passato che affiora senza nostalgia e dove ogni elemento acquista una forte connotazione simbolica: le donne, il sorriso dei bambini, gli oggetti della quotidianità, i paesaggi rurali e gli occhi pieni di speranza dei più giovani superano la frammentarietà del singolo scatto per diventare elementi di una narrazione sequenziale, creando un ponte tra un mondo che si è inevitabilmente trasformato e una terra che può ancora nutrire delle aspettative, nonostante le difficoltà. 

«La speranza, in un’isola in cui questa condizione sembra essere venuta meno – prosegue Chiaramonte – diventa la lotta per poter cambiare. Il successo che sta riscuotendo questo libro, che ho deciso di pubblicare, indica che oggi, nel cuore di ogni siciliano, c’è il bisogno di riaprire alla speranza e quindi all’impegno per mutare ciò che nel nostro presente non funziona. La fotografia, come ogni opera d’arte, ha il compito di attivare nell’uomo la gioia di stare al mondo e il suo impegno per costruire un mondo che sia sempre migliore».

«La Sicilia di oggi la sto fotografando a colori – conclude Chiaramonte -. Grazie al Fai e al parco della Kolimbetra, una straordinaria valle tra i templi di Agrigento, l’amore di un agronomo, e di tanti contadini, sta custodendo un piccolo eden, ricordando che la cultura dell’uomo non c’è senza l’amore e la fatica verso la propria terra».

Salvo Caniglia

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