La moglie del boss Salvo gli teneva il posto nel clan Era sua la mediazione con il «guerriero in trincea»

Nella buona e nella cattiva sorte. Per Rosaria Rapisarda – conosciuta da tutti come Alessandra – quella del rito del matrimonio non è rimasta solo una formula. Da quando il capomafia Massimiliano Salvo, nel gennaio del 2017, viene arrestato lei diventa i suoi occhi, le sue orecchie, le sue mani e la sua bocca. O, come scrivono gli inquirenti che l’hanno arrestata nell’operazione Camaleonte, «un preziosissimo trait d’union» tra il marito detenuto al 41 bis e il gruppo criminale del clan Cappello-Carateddi. Li frequenta, chiede conto delle questioni economiche, riporta messaggi dal carcere e per gli altri associati le sue esigenze diventano una priorità.

Primi tra tutti i fratelli gemelli Luca e Fabio Santoro, già arrestati per mafia nell’ambito dell’operazione Gorgoni. Luca (classe 1991) in particolare è ritenuto dagli inquirenti «espressione diretta» di Salvo. Non solo il suo autista ma anche uomo di fiducia del carruzzeri incaricato di gestirne gli appuntamenti per portare avanti gli affari del gruppo criminale. C’è anche lui nella camera 405 dell’hotel Star du Parc di Parma quando Salvo viene catturato il 17 gennaio del 2017. Al gruppo di San Giorgio, lui resta fedele. «Nasciu cà e moru cà (sono nato qui e muoio qui, ndr)». E all’educazione mafiosa ricevuta rende onore con un rigore militare: «Un vero guerriero sempre a so trincea a manteniri (un vero guerriero deve sempre mantenere la propria trincea, ndr)». 

Al di là del gruppo, però c’è il rapporto personale. Santoro ha per Salvo «una devozione, una affettuosa deferenza», come scrivono gli inquirenti nell’ordinanza di custodia cautelare. Al punto che parlando con la compagna incinta propone di chiamare il figlio «Massimeddu, Massimu u Carruzzeri, Massimo u Carruzzeri Santoro». «Allora speriamo che è femminuccia!», è l’ironica risposta di sua madre. Con il carruzzeri in carcere, Luca intrattiene contatti diretti con la sua consorte. E tra i due sembra esserci anche una particolare confidenza. Le telecamere piazzate davanti all’ingresso dell’abitazione dei gemelli Santoro la riprendono più volte. 

È il tardo pomeriggio del 7 ottobre del 2017 quando la donna arriva in via Dittaino a bordo di una Lancia Y. Luca la riconosce da lontano ma non sembra felice della visita. Lei scende dalla macchina e va dritta al punto. «Ciao Luca, ti devo parlare». «Se è urgente sì – risponde Santoro sull’uscio – però ci devi impiegare cinque secondi e te ne devi andare di qua». Pochi secondi però non bastano per reclamare il denaro destinato al mantenimento in carcere del suocero Pippu u carruzzeri e, così, i due entrano in casa. «Luca ascoltami un attimo – esordisce – per mio suocero c’è una cosa sistemata per mille euro al mese. Io ti sto dicendo solamente una parola: se non vuoi che faccio cose da pazzi, o mi fai dare i soldi della macchina oppure faccio un macello» Santoro promette: «Mi devono morire i miei figli».

Non solo questioni pratiche da mettere a posto. Gli incontri con Santoro di Rapisarda sarebbero serviti anche a consentire a Salvo di continuare a mantenere il controllo sulla gestione del gruppo. Dopo un colloquio con il marito del 27 luglio 2017 al carcere di Tolmezzo (in provincia di Udine, in Friuli Venezia Giulia), Alessandra rientrata a Catania e va a casa dei gemelli secondo gli investigatori a «trasmettere i messaggi raccolti in carcere nel corso dei colloqui». In una conversazione intercettata, Luca poi racconta alla moglie di avere ricevuto un messaggio da parte del boss detenuto che identifica lui, il fratello Fabio, Vincenzo Salamone e Antonino Guardo (anche loro arrestati ieri) come suoi figli. «”E dagli un bacio ai miei sette figli” – riferisce Luca – Tre i suoi (legittimi di nascita, ndr) e gli altri quattro siamo noi». La moglie si emoziona e risponde descrivendo l’effetto che le fa quella rivelazione: «Pelle d’oca!».

Marta Silvestre

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