La mente dietro a Non pallate se non sapete le cose «Minacciato anche in privato, ma non è solo un gioco»

C’è una nuova pagina Facebook satirica in città. Ed è una satira forse un po’ più «difficile» delle altre. Perché orbita intorno al carcere, alla detenzione, alle reazioni dei familiari di coloro che vengono arrestati. Reazioni che, il più delle volte, tracimano sui social network, a corredo degli articoli di cronaca nera. Va da sé che la pagina si chiami Non pallate se non sapete le cose, che è più o meno il commento archetipico di chi deve fare i conti con l’arresto di un fratello o una sorella, un marito, un padre. L’amministratore della pagina preferisce rimanere anonimo, ma conversa di buon grado con MeridioNews. «Ovviamente seguo e condivido post in maniera ironica – esordisce – ma l’argomento che trattiamo è tutt’altro che frivolo». 

Perché confina con la giustezza della pena, la rieducazione del detenuto, il suo inserimento una volta fuori dal gabbio. «La mia visione è idealistica – dice l’ideatore di Non pallate – Sogno che queste persone comprendano come sia sbagliato il loro modo di vivere delinquenziale e che, attraverso un percorso di riabilitazione, possano essere rimessi in libertà, integrandosi in una società fatta di regole». Tuttavia, se da un lato l’obiettivo della pagina è «sensibilizzare l’opinione pubblica», dall’altro l’intenzione è «suscitare la vergogna dei diretti interessati», mediante post con commenti che sono sì censurati, ma perfettamente riconoscibili da chi li ha scritti. Eppure agire sulla mentalità di chi delinque per vivere non è affatto facile. 

«Vedono le forze dell’ordine come nemici. È una mentalità trasmessa anche ai più piccoli. Il delinquente abituale – sospira – vede il carcere come dignità, il proprio silenzio come onore. Sono tutti preconcetti dovuti all’ignoranza». La voglia di immaginare una società più giusta si scontra il più delle volte con la durezza della realtà. Specie quando il diretto interessato scopre che le sue parole sono finite su Facebook. «Io – dice l’amministratore – sono disponibile alla rimozione purché l’interessato di turno mi dica esplicitamente “la mafia fa schifo”. Il più delle volte si rifiutano, in alcune eccezioni dopo averlo scritto, mi capita di chiedere le ragioni del gesto». Ogni tanto, invece, la porta socchiusa del carcere lascia filtrare un refolo di speranza. 

«Un ragazzo – prosegue – mi disse che era disposto a partire per andare a lavorare ovunque, anche per le somme più irrisorie e per i lavori più umili, per poter vivere dignitosamente con la sua famiglia. Ho pensato: “Caspita, se avesse avuto una possibilità dalla vita, probabilmente sarebbe andata diversamente“». Ma quella possibilità è una rarità in certi ambienti familiari, in certi brodi di coltura. «Tra di loro – ne è convinto l’amministratore della pagina – esiste qualcuno che potrebbe essere riabilitato attraverso il lavoro».

Ma non è stressante gestire una pagina dall’ironia così delicata, così scivolosa? Anche perché la stragrande maggioranza delle persone oggetto di scherno «non reagisce in maniera signorile. Spesso – svela l’admin – continuano ad insultare o minacciare anche in privato, fino a quando non capiscono che stanno rispondendo a delle provocazioni, proprio come la pagina vorrebbe». Eppure l’ironia social rimane un passatempo «di buoni propositi». «In realtà è un momento di svago, non è difficile. Il più delle volte – racconta – ciò che pubblico mi viene fornito dalle persone che seguono la pagina stessa. Io lo censuro e lo metto in rete». Come una sorta di redazione spontanea. «La pagina – conclude l’amministratore – va avanti anche e soprattutto grazie a una decina di persone, che ogni giorno con le loro segnalazioni e con le loro condivisioni aumentano il numero di follower». Che, a oggi, sono 6174

Marco Militello

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