Arriva un giorno preciso dell’anno in cui tutto il mondo si sveglia e 6.000.000 fra uomini, donne e bambini riprendono miracolosamente vita e tornano a far parlare di sè. Sei milioni di creature assassinate per il sottile e criminale gioco mentale di chi credeva così di togliere il peso dello strapotere economico ebreo su una Germania che, uscita a pezzi dalla prima guerra mondiale, cercava di recuperare la propria potenza. E diventava sempre più potente e forte la Germania quando decise, nel marzo del 1933 quasi contemporaneamente all’avvento di Adolf Hitler e del suo “Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (NSDAP)”, di inventarsi il primo campo di lavoro per prigionieri politici contrari al regime nazional socialista.
Anni dopo quel campo di lavoro sarebbe divenuto il primo campo di concentramento dove venivano radunati prigionieri appartenenti ai gruppi dichiarati “razzialmente e biologicamente inferiori” dai nazisti.
Decine di migliaia di persone morirono di fame, per fucilazione, di dissenteria e di polmonite. In quel campo, passato quasi in sordina nella memoria collettiva, malattie, lavoro forzato, maltrattamenti, esecuzioni sistematiche delle SS, esperimenti medici inenarrabili erano all’ordine del giorno e decimarono decine di migliaia di prigionieri del campo. Gli altri, i sopravvissuti a Sachsenhausen, finivano i loro giorni in tutti gli altri campi da sterminio, in attesa della “soluzione finale”.
Il giorno della Shoa, dunque sta per chiudersi. In questo articolo abbiamo anche ricordato le vittime siciliane dei lager nazisti. E, fra inaugurazioni di musei, visite e pellegrinaggi ai luoghi dello sterminio, chiacchiere, discorsi e corbellerie varie (come quella del Cavaliere, secondo cui Mussolini ebbe come sola colpa “il fatto delle leggi razziali”) anche questa Giornata della Memoria, sta andando via. Con una amarezza in più. Insieme ai tanti dimenticati e alle tante vittime dei nazisti, bisognerebbe dedicare la memoria, anche ad altre vittime di lager simili a quelli dei tedeschi. I lager dei Savoia per cominciare, dove tantissimi meridionali sono stati violati e ammazzati.
Dopo la conquista del Sud Itlia nei lager sabaudi, si perpetrarono abusi di ogni sorta di cui la “storia ufficiale” non parla. L’incubo della reclusione, la persecuzione, fucilazioni di massa, stupri, perfino bambine (figlie di “briganti”) costrette ad abusi infami. Quelli deportati a Fenestrelle, fortezza sulle montagne piemontesi, ufficiali, sottufficiali e soldati che avevano deciso di opporre “resistenza” ai piemontesi, a Fenestrelle e negli altri lager subirono il trattamento più feroce.
“Erano stretti insieme- ci racconta una studiosa”-assassini, sacerdoti, giovanetti, vecchi, miseri popolani e uomini di cultura. Senza pagliericci, senza coperte, senz a luce. Un carcerato venne ucciso da una sentinella solo perché aveva proferito ingiurie contro i Savoia. Vennero smontati i vetri e gli infissi per rieducare con il freddo i segregati. Laceri e poco nutriti era usuale vederli appoggiati a ridosso dei muraglioni, nel tentativo disperato di catturare i timidi raggi solari invernali, ricordando forse con nostalgia il caldo di altri climi mediterranei.
Spesso le persone imprigionate non sapevano nemmeno di cosa fossero accusati ed erano loro sequestrati tutti i beni. Spesso la ragione per cui erano stati catturati era proprio solo per rubare loro il danaro che possedevano. Molti non erano nemmeno registrati, sicché solo dopo molti anni venivano processati e condannati senza alcuna spiegazione logica.
Pochissimi riuscirono a sopravvivere: la vita in quelle condizioni, anche per le gelide temperature che dovevano sopportare senza alcun riparo, non superava i tre mesi.
E proprio a Fenestrelle furono vilmente imprigionati la maggior parte di quei valorosi soldati che, in esecuzione degli accordi intervenuti dopo la resa di Gaeta, dovevano invece essere lasciati liberi alla fine delle ostilità. “
La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi (non erano ancora in uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all’ingresso del Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti.
Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è ancora visibile l’iscrizione: “Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce”.”
Quei “morti”, i nostri morti, non sono mai esistiti per nessuno…. Nessuno li ricorderà in una giornata di lutto “generale” E mentre i Berlinesi riescono a malapena a sopravvivere al senso di colpa che è riscontrabile in ogni museo, in ogni angolo della loro capitale e del vicinissimo Sachsenhausen… Nulla nella “nostra Italia” ricorderà mai i nostri.
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