«Sono andata a prendere mio figlio a scuola ma mi hanno restituito solo il suo zainetto. Nessuno mi aveva avvertita che sarebbe stato portato via dagli assistenti sociali e dai vigili urbani. Da allora, non l’ho più rivisto». Sono passati dieci mesi e la signora originaria di Bronte, il suo bambino di 12 anni, non lo ha ancora visto e nemmeno sentito al telefono. «Sappiamo che dovrebbe trovarsi in una comunità alloggio casa-famiglia in provincia di Catania e nient’altro», spiega a MeridioNews Alessandra Leonardi, l’avvocata che assiste la donna e che, di recente, ha depositato una serie di istanze al tribunale etneo per cercare di fare luce su questa complicata vicenda iniziata anni fa con una separazione tra marito e moglie. «Mai mi sarei potuta immaginare che mi avrebbero portato via mio figlio in questo modo», dice la donna disperata.
Tutto comincia all’inizio del febbraio del 2020 quando la giudice del tribunale di Catania, nell’ambito del procedimento per la separazione tra i coniugi, nomina una psicologa e le conferisce l’incarico di accertare le condizioni psicologiche dei genitori e del minore, i rapporti tra loro e con il figlio per verificare eventuali situazioni di disagio o di condizionamento. Tra i compiti della consulente c’è anche quello di valutare la capacità genitoriale. Dopo una consulenza tecnica, la psicologa conclude per l’affidamento condiviso «nel rispetto del diritto del minore alla bigenitorialità» e per il collocamento del bambino nell’abitazione della madre. Questo perché, come viene spiegato nella relazione della consulente, è prioritario «salvaguardare i punti fermi del minore senza i quali si sentirebbe sperduto e disorientato, oltre che colpevolizzato per il modo in cui ha vissuto e interpretato, in questi anni, il rapporto con il padre». Una relazione che si era interrotta anni prima per cui adesso ci sarebbero delle accuse nei confronti della donna per avere ostacolato questo rapporto. Inoltre, la psicologa prevede una mediazione familiare di supporto alla genitorialità per entrambi, della durata di almeno un anno; un sostegno psicologico per la donna «ancora molto coinvolta nella vicenda separativa e che soffre l’idea di condividere con il marito l’affetto del figlio minore» e un monitoraggio sull’andamento delle frequentazioni padre-figlio da parte dei Servizi sociali per almeno un anno. Proposta motivata dal fatto che la recente riapertura del dialogo tra i genitori e la ripresa dei rapporti tra padre e figlio sono «ancora molto fragili».
Conclusa la fase della consulenza, nell’ottobre del 2020 il tribunale nomina una curatrice speciale del minore. Intanto, l’uomo presenta un esposto al tribunale dei minori perché non gli sarebbe stato consentito di vedere il figlio per circa due anni e un’istanza in cui chiede di «adottare ogni provvedimento utile all’interesse del minore ad avere un regolare rapporto di frequentazione con il padre». Cinque mesi dopo, nel marzo del 2021, il tribunale incarica i Servizi sociali e il Servizio di Neuropsichiatria infantile (Snpi) di assicurare l’inserimento del minore in una casa famiglia anche con l’assistenza delle forze dell’ordine. E così è il 7 giugno «quando all’uscita di scuola – ricorda la donna – mi hanno ridato solo lo zainetto. Senza che nessuno mi avesse avvisata che mio figlio sarebbe stato portato via quel giorno». Da quel momento, la signora non ha più saputo nulla del figlio, nonostante il tribunale avesse previsto che gli incontri si dovessero tenere almeno due volte a settimana, anche se in forma protetta. «Le è stato impedito ogni tentativo di contatto con il minore», denuncia la legale.
Stando a quanto ricostruito dall’avvocata Leonardi in un ricorso inviato al tribunale, dietro questa decisione ci sarebbe «un suggerimento da parte della curatrice speciale, non supportato da elementi oggettivi, che ha detto al giudice che sarebbe stato più opportuno assicurare al minore uno spazio di serenità, lontano da sollecitazioni sia della madre che del padre». Una vicenda delicata in cui si prova a fare in modo che a pagare le conseguenze non sia il bambino. Mentre per la legale questa scelta sarebbe «contraria all’interesse del minore che, senza alcuna preparazione, da un giorno all’altro, si è ritrovato da solo in una casa-famiglia probabilmente credendosi abbandonato dalla mamma che non sente, non vede e di cui non ha più notizie da ben dieci mesi». Questo perché, proprio su suggerimento della curatrice, il giudice avrebbe sospeso gli incontri madre-figlio prima ancora che cominciassero. «Da poco – aggiunge la donna – ho saputo però che mio figlio ha trascorso qualche giorno del periodo delle feste a cavallo tra Natale e Capodanno con il padre e il fratello».
Adesso, nel ricorso presentato al tribunale, sono riassunte tutte le richieste che la madre fa al giudice. Prima tra tutte che si revochi l’incarico alla curatrice speciale del minore precedentemente nominata e che la si sostituisca. «Inoltre – elenca Leonardi – chiediamo che venga fissato un calendario degli incontri, in ambiente protetto, tra la donna e il figlio; che venga valutato da una psicologa lo stato psico-emotivo attuale del bambino e la capacità genitoriale della mia assistita e, se fosse di esito positivo, di collocare il minore in casa della madre. Infine – conclude – visto che il minore ha comunque 12 anni, chiediamo pure che venga ascoltato dal giudice anche in videoconferenza». Quest’ultima richiesta è già stata accolta e il 12enne verrà sentito nel corso della prossima udienza che è già stata fissata per il 17 maggio; in quella del 24 maggio è invece prevista la comparizione delle parti. «Nell’interesse del minore, mi rimetto come sempre ai provvedimenti che adotterà il tribunale», è l’unico commento dell’avvocata Maria Grazia Portale che assiste il padre del bambino.
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