«In nessun posto della Sicilia come a Catania vengono rispettate le antiche gerarchie mafiose». È il presidente della commissione antimafia regionale Claudio Fava a tracciare il profilo della criminalità organizzata nel territorio etneo dopo le audizioni del procuratore Carmelo Zuccaro, del prefetto Claudio Sammartino, del questore Mario Della Cioppa, dei comandanti provinciali dei carabinieri Raffaele Covetti, della guardia di finanza Raffaele D’Angelo del capo del centro Dia Carmine Mosca.
Quello che viene fuori è un «quadro piuttosto preoccupante – ammette Fava – della pervasività delle mafie e dei punti di incontro e intersezione tra criminalità, politica e imprenditoria». Da una parte c’è la vecchia mafia con i «vertici delle prime generazioni delle famiglie Santapaola e Ercolano che continuano a essere punti di riferimento non solo per il prestigio che si portano dietro ma anche per un controllo attuale effettivo». Una discendenza saldamente ancorata alle radici di Nitto Santapaola e Aldo Ercolano che porta avanti le antiche vocazioni criminali senza lasciarsi scappare i nuovi business.
«Una situazione che si è consolidata, che continua con 24 organizzazioni, circa 7000 affiliati e 31 zone a rischio individuate a Catania – riporta Fava – che è una città di spazi e territori contesi tra gruppi che se li distribuiscono con armonia criminale». Tanto con le bandiere issate a delimitare le aree di spaccio quanto con i «concerti neomelodici in piazza che affermano una egemonia territoriale». Simboli fondamentali per creare anche consenso e dissenso sociale. A questo proposito, a venire fuori dalle audizioni è stata anche la questione sicurezza in città: «È emersa – illustra Fava – l’inadeguatezza su piano della quantità e della qualità della polizia municipale».
Le mani delle mafie etnee restano ancorate a vecchi settori e si affacciano a nuovi giri di affari. Dall’intestazione fittizia dei beni alle aste giudiziarie che vanno deserte, dai parcheggi abusivi al controllo monopolistico dell’azzardo per cui nascono inedite alleanze criminali tra i Santapaola e i Cappello, passando al settore immobiliare e della speculazione edilizia «con il ricorso a un sistema di valorizzazione di terreni agricoli che diventano edificabili e su cui poi sorgono, per esempio, centri commerciali». Esiste poi una «grande zona grigia» in cui si è collocato un pezzo di imprenditoria «senza affiliazione ma intessendo rapporti collusivi con le famiglie mafiose che creano una forte sofferenza del tessuto imprenditoriale sano che rischia di essere soffocato», argomenta il presidente della commissione.
C’è poi «un buco nero dentro il quale occorrerebbe andare a guardare». Fava parla dell’affair munnizza: non solo per la questione relativa allo smaltimento – per cui ci sono due accessi in corso per la Sicula Trasporti e per la Dusty – «ma anche perché nessuno dei procedimenti con cui sono state concesse le proroghe con affidamenti di somma urgenza è regolare. Quello dei rifiuti – afferma – è un canale privilegiato per investire e riciclare denaro».
Un quadro preoccupante a cui devono essere affiancate anche le indagini giudiziarie ancora in corso: dall’Università bandita ai presunti bilanci truccati del Comune, dalle Buche d’oro di Anas ai processi che vedono imputati l’ex governatore Raffaele Lombardo per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio e l’editore Mario Ciancio accusato di concorso esterno alla mafia. «Questa città – conclude Fava – resta ancora una storia da raccontare, ma non possiamo lasciare che raccontarla siano solo le sentenze».
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