La mafia dà e la mafia toglie. C’è tutta l’ipocrisia del sistema di Cosa nostra, radicato in un territorio difficile come i quartieri della periferia Nord di Palermo, tra le pagine dell’inchiesta che ha portato all’operazione Bivio, con sedici presunti uomini d’onore del mandamento mafioso di Tommaso Natale finiti in manette ieri mattina. C’è la Cosa nostra di Giulio Caporrimo, tornato a Palermo dal suo esilio fiorentino per impossessarsi del mandamento che gli era stato tolto dalle nuove leve mentre era in carcere, che da una parte mette in piedi una «distribuzione di alimenti per le famiglie bisognose» tra le palazzine dello Zen durante il periodo del lockdown. Dall’altra però pianifica «alcune rapine, da commettere attraverso l’uso di armi (anche automatiche da guerra) e di esplosivo al plastico».
«… Niente… spari a occhio… così… bom (fonetico) scendi!» diceva un uomo, non identificato dagli inquirenti, durante una discussione a Giuseppe Cusimano, ritenuto il reggente della famiglia mafiosa dello Zen-Pallavicino e al suo presunto numero due, Francesco L’Abbate. «Ti faccio vedere che loro non è che ti aprono solo le porte… loro ti danno pure i soldi della tasca». L’assalto sarebbe dovuto avvenire a fine dicembre 2020 «così ci facciamo un bello Natale», dicevano mentre pianificavano il modus operandi per l’assalto al portavalori, non il primo a giudicare dal tenore della discussione. Un’azione che prevedeva un largo uso di armi e di esplosivo al plastico per scardinare le misure di sicurezza. Stesso discorso per il distributore di benzina, rischioso perché protetto da vigilanza armata. «In tale occasione – spiegano gli investigatori – il gruppo di Cusimano non avrebbe esitato a usare le armi per neutralizzare il vigilante e rapinare l’esercizio commerciale».
La stessa mafia che si dimostra clemente, chiudendo un occhio nei confronti delle persone da lei vessate, ma non esitando a bruciare mezzi e utilizzare le maniere forti con chi non si dimostrava particolarmente malleabile. «Qua ci siamo dovuti fermare per questo corna virus» raccontava il gestore di un’attività a Francesco L’Abbate, che gli aveva fatto visita «verosimilmente per farsi consegnare “il pizzo”», come spiegano gli inquirenti. Parole che hanno convinto il presunto uomo d’onore, che ha replicato senza pensarci troppo: «Ancilù… me ne vado. Quando dici tu prendo e vengo». «Questa settimana prossima, appena apriamo – la replica dell’esercente – siamo chiusi per ora… per ora siamo a mare proprio… siamo fermi totali». «lo so … “Ancilù” come … Lo so, lo so» chiosava L’Abbate, mentre il suo interlocutore lo salutava non risparmiando invettive nei confronti del sistema: «La gente sta impazzendo … purtroppo lo Stato Italiano non è buono … non è buono. Nello Stato italiano non va niente».
Ed è proprio nel clima di sfiducia e di abbandono percepito da parte delle istituzioni che la mafia degli ortodossi prova a propagare le sue radici, che «Cosa nostra è sempre alla ricerca di quel consenso sociale e di quel riconoscimento sul territorio, indispensabili per l’esercizio del potere mafioso», per usare le parole degli investigatori. Guai però a fare le cose senza consultare la famiglia. In quel caso la comprensione veniva decisamente meno.
Come quando, lo stesso giorno della conversazione tra L’Abbate e Angelo, Franco raccontava di una visita compiuta con suo padrino – Nunzio Serio – a un negoziante reo di avere trattenuto, in luogo di un credito inevaso, un orologio di marca di proprietà di un detenuto. «Ci siamo messi… nella veranda, ci siamo presi due stuzzichini, due cose ed entra questo con suo padre. Il cristiano apre la giacca, mette mano in tasca ed esce la busta con l’orologio e due maglie che erano… pure levate e lo mette nella tavola. Hanno portato il conto… avanzano soldi… dice: è giusto che noi abbiamo… mio padrino ha preso questo pezzo di carta, ha guardato il prezzo, lo ha strappato e gli dice: “La cifra già ce l’ho in mente, ora gliela facciamo sapere alla signora, però naturalmente glieli può dare quando esce suo marito. A questo minuto non glieli può dare. Ma è corretto, dice che lei… suo figlio, lei, non so chi .. chi sia … vi eravate presi questo orologio per aggiustarglielo ed è da un anno e mezzo che gli dovevate dare l’orologio a questo ragazzo? Lei lo sa che cos’è? Lei è più cornuto di suo figlio».
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