Diciotto mesi. Per molti sarebbe troppo presto per alzarsi sui pedali e scattare in fuga verso il traguardo, tuttavia con uno come Cateno De Luca fare previsioni diventa sempre complicato. E quindi, almeno per il momento, c’è da crederci: il primo cittadino messinese si dice sicuro di candidarsi alle Regionali 2022, con l’obiettivo di rappresentare il centrodestra e, va da sé, scalzare da palazzo d’Orleans Nello Musumeci. Capire quanti sono pronti non è dato saperlo, ma per ora non sembra interessargli.
De Luca, non è che si tratta di una boutade?
«Assolutamente no. Mi candido davvero»
Sta facendo i conti senza l’oste? Nella fattispecie: i partiti che dovrebbero sostenerla che ne pensano?
«Guardi, lo schema sarà lo stesso che ha funzionato per le Comunali a Messina. Un progetto trasversale, senza una definita caratura partitica. Per il resto credo che il centrodestra deve stare attento: se ripropone Musumeci non fa altro che spingermi ad andare in fondo, anche da solo».
Una parola buona per il presidente proprio non riesce ad averla.
«È per lui che mi sento costretto a scendere in campo. Non c’è una sola riforma che sia andata in porto. Quelle che hanno proposto o sono state impugnate dallo Stato o sono state bloccate all’Ars. Senza contare che poi rischiano di fare danno come il disegno di legge sui rifiuti».
Come giudica lo stato di salute della maggioranza?
«Da questo punto di vista non corre rischi Musumeci, la maggioranza reggerà fino alla fine perché ogni deputato ci tiene alla sedia. I numeri questo governo formalmente li ha, poi se in Aula ogni tanto si registrano imboscate è per l’incapacità politica del presidente a tenere assieme gli onorevoli».
All’Ars qualcuno direbbe che la si ricorda nudo e bardato con la bandiera siciliana oppure intento a suonare la cornamusa.
«Dove ho amministrato, ho composto sempre squadre di valore e lasciato sindaci anche migliori di me. Ho amministrato tre comunità diverse e al di là della mia personalità e del mio modo di comunicare, c’è la sostanza. E poi, al cospetto del deserto dei Tartari che c’è in giro e che è costretto a seguire Fedez, De Luca diventa un gigante».
A proposito della diatriba Fedez-Salvini, che idea si è fatto? E soprattutto: qual è il suo rapporto con la Lega?
«Fedez è l’espressione dell’assenza di classe politica. Mi fa ridere vedere che ad andargli dietro sono i grillini e il Pd, che erano al governo e avevano la possibilità di portare avanti il ddl Zan e non l’hanno fatto».
E la Lega?
«Io ho rapporti con tutti. Ma non parto dal presupposto che per candidarmi debba essere battezzato da qualcuno. Chi mi ama, mi segue. Ma alle mie condizioni, su questo non ci sono dubbi».
In questi anni da sindaco ha minacciato più volte i consiglieri di dimettersi, per poi ritirarle. Questo leaderismo è davvero necessario?
«Io sono il primo caso di sindaco di una grande città che non elegge neanche un consigliere. Converrà che è una situazione anomala, che necessità anche strategie inusuali. Ma credo che i risultati siano sotto gli occhi di tutti: siamo arrivati al 40 per cento di differenziata partendo dal dieci; siamo passati da 500 a 150 milioni di euro di debito; siamo il primo Comune in termini di spesa dei fondi Pon Metro e il secondo per quanto riguarda quelli del Masterplan. Nel 2018, dopo pochi mesi dall’elezione, il consiglio comunale tentennava sul piano di riequilibrio e, siccome non mi andava di fare il becchino della mia città, ho detto: o lo votate o ce ne andiamo tutti a casa. Anzi, a dire il vero ho detto “ce ne andiamo tutti a fanculo”».
Tra i suoi cavalli di battaglia c’è stato il tema delle baraccapoli. A che punto siamo?
«Finora abbiamo fatto quello che in trent’anni non è riuscito a fare chi mi ha preceduto. Dal ’90 erano stati assegnati 500 alloggi. Noi in tre anni ne abbiamo già dati 300 e abbiamo un finanziamento per altri 700. Se il parlamento nazionale si accinge a discutere di questo problema con una legge ad hoc è perché a settembre 2018 firmai una ordinanza, se volete provocatoria e stravagante, che prevedeva lo sgombero delle 2500 famiglie costrette a vivere ancora nelle baracche».
Altre due opere che la città si attende sono i lavori in via Don Blasco e al porto di Tremestieri.
«Su Don Blasco stiamo rispettando il cronoprogramma, dopo aver dovuto rivedere il progetto. A Tremestieri i lavori erano stati già aggiudicati nel 2017, ma il cantiere non partiva per il rifiuto di alcuni abusivi a lasciare la casa costruita in un’area demaniale. Sono andato a sfrattarli di persone, prendendomi le pietre e pure qualche malanova. Ora stiamo andando spediti».
Il ponte sullo Stretto secondo lei stavolta si farà davvero?
«Io dico che se non si fa quando si ha a disposizione un piano Marshall come il recovery fund allora non si fa più. Hanno detto che non si poteva includere negli interventi da finanziare perché bisognava concludere l’opera entro il 2026, poi però scopro esserci un piccolo fondo di una trentina di miliardi per lavori da completare entro il 2032. La verità è che non c’è la volontà. E lo sa perché?».
Dica.
«Perché il ponte aprirebbe possibilità impensabili per i porti siciliani. E ciò rappresenterebbe una sfida ai grandi porti del Nord Europa».
In questo la pensa come il sottosegretario Cancelleri.
«Solo che a differenza suo non ho le sparate su soluzioni messe lì tanto per prendere tempo, tipo il tunnel sommerso o il ponte a tre campate. L’unico progetto da portare avanti è quello sul ponte a unica campata, così lo Stato evita anche la super-penale da pagare a Eurolink».
Parliamo di Covid: dal primo momento tra lei e Musumeci c’è stata una sfida a distanza. Non è che anche questo tema ha risentito di un’eccessiva politicizzazione?
«Per nulla. Le soluzioni che io proponevo nel 2020 sono state prese ad altri livelli, ma dopo un anno. Prendiamo le banche dati. L’ho detto già a maggio che bisognava convivere col virus e muoversi soltanto tramite prenotazione, anche per andare al cimitero. Adesso mi pare di capire che a livello nazionale la direzione sia questa. La verità è che io ogni tanto pago il prezzo di vedere oltre la siepe, mentre altri non hanno lungimiranza».
Il suo nemico numero uno è stato l’ex dirigente generale dell’Asp Paolo La Paglia.
«Più che mio nemico, è stato nemico della comunità di Messina. Sarà bravo a fare altre cose, ma non era cosa sua fare il manager. Un manager è sganciato dal profilo culturale, lì ci vuole un piglio diverso. E lo dice uno che lo ha fatto per trent’anni. La Paglia da subito si è mostrato inadeguato, ma ho dovuto fare la guerra per convincere l’assessore».
Che idea si è fatto dell’indagine che ha travolto Razza?
«Ho rispetto della magistratura e la verità giudiziaria emergerà dai tribunali. Ma a me basta avere letto le intercettazioni per schifarmi. Usare verbi come scotolarsi i pazienti in terapia intensiva o spalmare i morti è inaccettabile. Tanto basta per condannare politicamente Musumeci, in qualità di commissario Covid, e Razza».
Però, su. Chissà che uscirebbe se si ascoltassero le telefonate di De Luca.
«Le dirò: io parlo in modo spregiudicato pubblicamente. Quelle mie dichiarazioni sono più forti. In privato sono un ragazzino, un fanciullo docile. Ma siccome questa classe dirigente mi fa andare fuori di testa, mi incazzo e li mando a fanculo».
Da qui all’autunno 2022 si spera che il Covid sia già alle spalle. Ma così non fosse, è pronto a fare una campagna elettorale con il distanziamento sociale?
«La capacità di chi fa politica è quella di adeguarsi. Se malauguratamente ci fosse un quadro del genere entrerò nelle case di tutti tramite social e tv. Ma credo che, per quanto si potrebbe ancora pagare lo scotto della pandemia, per quel momento saremo già in una fase nuova. Almeno questa è la mia speranza».
Male che vada si potrebbe mettere a fare il rider e, con la scusa di consegnare le pizze a domicilio, incontrare gli elettori.
«Sa che potrebbe essere una bella idea? Anzi me l’appunto, potrebbe tornarmi utile».
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