È un silenzio assordante e preoccupante quello che sta segnando questa campagna elettorale, sia per le Politiche che per le Regionali in Sicilia, in merito alla questione della lotta alla mafia. A richiamare i candidati è Avviso Pubblico che lancia un appello accompagnato dall’hashtag #nosilenziosullemafie. L’associazione chiede l’impegno a portare avanti, se eletti, cinque politiche e cinque proposte elaborate recependo le istanze di più di cinquecento enti locali e undici Regioni, nonché monitorando costantemente i lavori di Camera e Senato tramite l’Osservatorio parlamentare. «Sono tante le emergenze – ha dichiarato il presidente Roberto Montà – nazionali e internazionali ma stiamo notando che mafia e corruzione sono lontane dal dibattito e dall’attenzione. Vogliamo però intanto sensibilizzare i cittadini a votare. Tutti coloro che si candidano devono prendere degli impegni concreti verso la gestione dei beni confiscati, degli appalti pubblici. Ma ci sono anche le questioni legate al Piano nazionale di ripresa e resilienza, alla tutela degli amministratori pubblici e dei giornalisti. Ci sono delle riforme da portare a termine che la sospensione della legislatura non ha consentito di completare: l‘ergastolo ostativo, lo scioglimento dei Comuni, le lobby e i testimoni di giustizia. Facciamo in modo che, nel prossimo Parlamento, mafia e corruzione non abbiano alleati o complici ma legislatori che si impegnano contro un fenomeno che rappresenta una zavorra economica e sociale per il Paese».
La riflessione e l’impegno richiesto si fonda sulle numerose operazioni finanziarie sospette che sono state segnalate, alle storie dei sindaci minacciati e degli operatori dell’informazione che vivono sotto scorta per avere denunciato, con le loro inchieste, le infiltrazioni criminali. Non serve, quindi, solo spendere i fondi per Avviso Pubblico. Bisogna pure garantire che i denari non finiscano nelle tasche della mafia. Per questo viene sollecitata pure un’attenzione verso coloro che materialmente gestiscono le pratiche, negli uffici e nelle società partecipate. Trasparenza nei rapporti, poi, e nei trasferimenti di denaro tra Fondazioni e altre realtà per evitare forme distorte di alimento economico che nascondono interessi illeciti. «Non è vero – sostiene Enzo Ciconte, storico delle organizzazioni criminali – che parlare di mafia toglie voti. La maggior parte delle persone hanno voglia di liberarsi da questo peso. Se guardiamo a quella mafia che uccise La Torre, Falcone, Borsellino ci rendiamo conto che quei soggetti non ci sono più perché quel gruppo o è morto o sono detenuti. Il problema è che oggi il contrasto è stato concentrato sul piano militare cioè gli omicidi, il traffico di stupefacenti. C’è un’idea sbagliata secondo cui solo la magistratura deve occuparsi della lotta alla mafia. Ma è la politica che per prima deve combattere, contrastare, reagire».
Al centro ci sono gli affari collegati agli interventi finanziati con il Pnrr per i beni pubblici. «La lotta alla mafia – ha detto Rosy Bindi, già presidente della commissione parlamentare Antimafia – non deve dividere la politica ma la deve unire perché nemica della democrazia. Il metodo democratico prevede la formazione delle classi dirigenti; è impressionante che questo aspetto sia stato dimenticato. Bisogna liberare il tema della lotta alle mafie. Non è solo compito dei magistrati ma di tutta la gente. Si inizia nelle scuole e nella pubblica amministrazione. Lo Stato ha vinto contro la mafia delle stragi. Oggi è più difficile combattere perché la mafia è più insidiosa. Il legislatore del futuro deve intervenire sul gioco d’azzardo, sulla Sanità, sulle esternalizzazione dei servizi. Questi temi non devono spaventarci più dei morti sparati in strada».
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