La libertà di religione nella Costituzione italiana

di Lorenzo Ambrosetti

Stiamo assistendo in questi ultimi anni, in particolare, ad una ingerenza molto netta della Chiesa cattolica su temi politici che hanno un forte impatto sull’opinione pubblica.

E’ indubbio che la religione cattolica abbia in Italia una prevalenza rispetto ad altri culti pure ammessi dallo Stato.

Le gerarchie cattoliche questo lo sanno bene, e considerano infatti il nostro Paese come terra di conquista per affermare, contro il principio supremo di laicità dello Stato che pure viene sancito dalla Costituzione, il primato sulle altre religioni.

L’art. 7 della Costituzione recita espressamente come lo Stato e la Chiesa cattolica sono, nel loro ordine, indipendenti e sovrani. Ma la sovranità dello Stato viene limitata continuamente dagli interventi della Conferenza episcopale italiana, che cerca di imporre delle direttive su temi che hanno a che fare con la vita dei cittadini.

La Corte Costituzionale a Roma

Eppure la stessa Corte Costituzionale, con una sentenza storica che data 1989, ebbe ad affermare, che la laicità era un “principio supremo dello Stato”. Già l’art. 3 della Costituzione afferma l’uguaglianza dei cittadini senza distinzione di religione e l’art. 19 afferma: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato e in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.

Lungo questa linea si incontra poi la prima dichiarazione dei diritti del nuovo millennio, la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, dove si sanciscono la libertà di religione, il divieto di discriminazione in base alla religione (art. 21), il riconoscimento della diversità religiosa (art. 22), il diritto dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni religiose (art. 15).

Molte altre norme specificano variamente questi principi.

Lo fa, fra i tanti, l’art. 4 della legge sui dati personali dove le convinzioni religiose sono considerate tra i dati sensibili per i quali è prevista una tutela rafforzata.

Ma già era stato nel 1970 lo Statuto dei lavoratori ad intervenire in materia. Questo vieta al datore di lavoro di effettuare indagini sulle opinioni politiche, religiose e sindacali del lavoratore.

Qui la garanzia, solo in apparenza, riguarda la privacy del lavoratore. La sua finalità vera è quella di impedire le discriminazioni derivanti dalla manifestazione pubblica delle proprie convinzioni, fedi o appartenenze.

L’entrata laica della religione avviene dunque nello spazio pubblico in condizioni di parità non attraverso l’attribuzione di qualsiasi privilegio. Qui è il senso profondo della laicità che riconosce la religione in una sfera pubblica che, tuttavia, non è costruita in funzione dei caratteri di questa o quella religione, come di questa o di quella scelta politica o filosofica, ma si proietta al di là di ognuna di queste, e ritrova nella sua pienezza libertà ed eguaglianza.

E’ così stabilita nel nostro ordinamento la parificazione davanti alla legge tra credente e non credente e l’inammissibilità di riferimenti alla religione che abbiano forza impositiva.

Le continue ingerenze della Chiesa cattolica nel nostro ordinamento, che sono il segno di un progetto, quello di imporre valori assoluti e non negoziabili, non cesseranno mai, almeno fino a che le forze politiche terranno un atteggiamento di compiacenza o addirittura di favore nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche.

 

Redazione

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