Nunzio Di Francesco era tra gli ultimi partigiani di Catania, di certo il più noto. Passato alla storia come il comandante Athos, per centinaia di ragazzi delle scuole siciliane era il narratore della memoria, a metà tra un nonno e un eroe. Storie di guerra e di fame, ma anche di dignità e di liberazione. Di Francesco ha smesso di girare la Sicilia per raccontarle solo il 21 luglio 2011, a 87 anni, quando si è spento nel capoluogo etneo. In occasione della festa della Liberazione italiana dal nazifascismo, CTzen ha recuperato negli archivi personali dei suoi giornalisti una preziosa conversazione inedita con il partigiano Athos, registrata poco tempo prima, e di cui vi proponiamo un estratto.
Nunzio Di Francesco nasce a Linguaglossa il 3 febbraio del 1924, da una famiglia di agricoltori. A 19 anni, nell’aprile del 1943, non riesce a evitare l’arruolamento per motivi economici. «Molti amici si iscrissero all’università, ma nella mia famiglia a fine anno avevamo a stento i soldi per comprarci un vestitino nuovo», raccontava ridendo. Viene mandato tra i reparti di artiglieria a Torino ma, dopo la firma dell’armistizio l8 settembre, si unisce ai partigiani della IV Brigata Garibaldi. Prima della cattura da parte dei tedeschi e la successiva condanna a morte, diventerà il giovane comandante partigiano Athos.
Arrestato, trattenuto nel carcere di Saluzzo, in Piemonte, viene trasferito nel lager di Bolzano, dove si offre volontario per la punizione destinata a chi tenta di scappare: morire di fame e di sete. Da lì, l’8 gennaio 1945, viene deportato nel campo di sterminio di Mauthausen e poi nel sottocampo di Gusen II ai lavori forzati nelle gallerie. Tra le poche decine di sopravvissuti – «Solo 47 di 501, in tre mesi», ripeteva spesso i numeri impressi nella memoria nonostante l’età – fa ritorno a Linguaglossa nel 1945, pochi mesi dopo la liberazione. Nel campo tedesco incontra diversi italiani, tra cui il professore del liceo classico Cutelli di Catania Carmelo Salanitro, morto il 24 aprile 1945, e della cui memoria Di Francesco si è fatto portatore per tutti gli anni successivi.
Partigiano credente, ma critico nei confronti della gerarchia ecclesiastica, stimava con riserva papa Giovanni Paolo II. «Perché era contro la guerra, ha aiutato i partigiani della pace e ha chiesto perdono per tutto quello che ha combinato la Chiesa. Solo per queste tre cose con una frusta lo mandai in paradiso e non all’inferno. E doveva andarci prima di diventare papa», raccontava con la solita forza destinata alle sue invettive. Lo stesso tono mantenuto quando snocciolava con orgoglio le sue cariche: dirigente nazionale dellassociazione nazionale ex deportati, presidente provinciale dellassociazione nazionale partigiani italiani e presidente onorario dellistituto siciliano per la storia dellItalia contemporanea intitolato a Carmelo Salanitro. E, poco dopo la guerra, sindacalista a fianco degli agricoltori nelle loro battaglie con la Federazione della terra.
Un impegno che era anche una promessa. «Prima di uscire da quel maledetto cancello, il 5 maggio del 1945, ho detto: “Compagni, fratelli miei, tutti quelli che non sarete con me, resterete con me per tutto il resto della mia vita“». Una promessa mantenuta dal comandante partigiano Athos per 66 intensi anni.
[Foto di Anpi Catania]
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