La guerra dei mondi e l’ospitata fantasma La blogger: «Che m’hanno invitata a fare?»

Disclaimer: in questo post si racconta una vicenda realmente accaduta, filtrata attraverso un discreto livello d’ironia e un’abbondante percentuale di pennellate caricaturali. Quindi nessuno si offenda e nessuno prenda tutto alla lettera. Bene, mi sono parata il culo. Andiamo avanti.

Questa ve la voglio proprio raccontare: oggi non vi propongo annunci indecenti, ma un resoconto un po’ fantozziano e un po’ surreale di una mia disastrosa “ospitata” televisiva. In pratica vorrei raccontarvi di quella volta che NON sono andata in televisione. Cosa c’entra col blog? C’entra che è proprio in qualità di blogger che sono stata evocata attraverso un antico rituale sciamanico. Sto facendo casino, quindi forse è meglio seguire l’ordine cronologico dei fatti: per il flusso di coscienza e per la scomposizione della linea temporale ci sarà uno spazio apposito.

Un paio di mesi fa vengo contattata da una giornalista della Rai: «Ho visto il tuo blog, mi sembra carino, stiamo organizzando una trasmissione sullo scontro generazionale e il lavoro, vorresti partecipare per parlare di questi annunci indecenti che trovi in giro?». Eh va be’, vanità di vanità, ho accettato senza pormi troppi interrogativi, il primo dei quali avrebbe dovuto essere: ma quale potrà mai essere il livello di una trasmissione televisiva che ospita… Me? (Più tardi avrei scoperto che in realtà ad abbassare il livello non sarei stata certo io, modestia o bassa autostima a parte). Colpa dei tempi moderni che spingono a diffondere l’ego verso l’infinito e oltre, che volete che vi dica.

Insomma, com’è e come non è, si avvicina la fatidica data della trasmissione e vengono stabiliti tutti i dettagli: il 14 giugno un fantastico treno mi avrebbe portata a Roma per la messa in onda della trasmissione – La guerra dei mondi – in prima serata, mi vengono fatte mille raccomandazioni sull’abbigliamento (con le conseguenti crisi esistenziali dovute alla mia rinomata inadeguatezza stilistica, detto in parole povere: «Che cazzo mi metto?»): mi raccomando niente fantasie, niente scollature, niente roba appariscente, niente colori accesi, niente marchi, niente [inserire dettaglio a caso]. Va be’. Avrei poi dormito in albergo e l’indomani un altro fantastico treno mi avrebbe riportata a Milano. Il tutto non a spese mie, sia chiaro. Durante la trasmissione avrei dovuto declamare un paio di annunci assurdi postati su questo blog: il presentatore avrebbe dovuto introdurre l’argomento in qualche modo, io avrei avuto il mio mezzo minuto di sommo imbarazzo pubblico e buona notte al secchio. Non sapevo molto altro sulla trasmissione: dopo aver appreso che sarebbe stato presente nientepopodimeno che il leggendario Geronimo (non il capo Apache né il topo dei libri per bambini, ma il condottiero dallo scudo crociato), avevo sinceramente paura di scoprire nuovi agghiaccianti dettagli. Però in fondo in fondo anch’io mi faccio prendere dall’entusiasmo e proprio in un momento di delirio narcisistico misto a sindrome da yes-man avviso i parenti di questa mia prossima comparsa televisiva. E anche gli amici su Facebook! Amici e parenti che per qualche strana ragione sono contenti e orgogliosi di me, tutti positivi, tutti a congratularsi, a dirmi che «me lo merito», che avrebbero acceso apposta la tv dopo quattro anni proprio per il piacere di vedermi, eccetera.

Quando arrivo a Roma, trafelata e in ritardo, vengo accompagnata in albergo da un simpatico autista. Ho giusto sette minuti per cambiarmi ed essere trasportata di gran carriera al Teatro delle Vittorie insieme a un gruppetto di altri giovanissimi ospiti rampanti. Che sono bravissimi, lanciatissimi, tutti grandi esperti di economia, politica e aruspicina. E con le unghie delle mani pulite. (Mi sono appena accorta di aver scritto “mani pulite” poco dopo “scudo crociato”: proprio una di quelle che definirei “le coincidenze della vita”). Ognuno di loro ha qualcosa da dire, una storia da raccontare, un punto di vista da sostenere. Quasi tutti loro, proprio come la sottoscritta, NON lo faranno davanti a una telecamera. Ma ancora non lo sanno.

Io intanto osservo il lavoro dietro le quinte, quello che poi m’interessa di più: la frenesia assolutamente immotivata di ogni lavoratore presente lì dentro, dall’aiuto-assistente-secondo-[inserire qualifica a caso] di riserva al capo-coordinatore-generale-[inserire qualifica a caso] in carica; l’atmosfera da film neorealista nell’alcova delle truccatrici che parlano in romanesco stretto, la spietata selezione delle comparse, gli sforzi dei giornalisti e degli organizzatori che si fanno in quattro per far funzionare ogni cosa. Guardo tutto con gli occhi del fanciullino e tuttavia inizio a nutrire alcuni sospetti osservando gli ospiti e l’atmosfera generale.

La trasmissione è iniziata da appena tre minuti e voglio già andarmene. Un po’ per il panico, un po’ per imitare Cacciari (che proprio così ha fatto, se n’è andato nel bel mezzo della trasmissione). È un talk show, quindi c’è qualcuno che parla, parla e non la finisce più di parlare, qualcuno che applaude a caso (io), qualcuno che ribatte, ribatte e non la finisce più di ribattere, e via discorrendo. Trascorsa la prima ora di trasmissione senza che né io né molti altri “ospiti” avessero spiccicato mezza sillaba, incomincio a presagire che i nostri interventi sarebbero rimasti un’audace fantasia nella mente degli ideatori del programma e nulla più. Infatti.

Il programma termina, si abbassano le luci, ci si disperde tra strette di mano e commenti perplessi. È andata così, personalmente non ci sono rimasta male e l’idea di apparire in quel contesto, in fondo, non mi emozionava più di tanto; il mondo potrà di certo sopravvivere anche senza gli illuminati interventi di una blogger sfigata o di un laureato che vive all’estero e guadagna quasi più di quanto abbia speso per laurearsi nella facoltà più prestigiosa del pianeta (grazie al cazzo, mi viene da aggiungere) e che dice che «dai, se t’impegni ce la fai, se non ce la fai significa che non sei bravo abbastanza!!!!», o ancora di un sostenitore della vita da bamboccioni, oppure di un giovane che ogni volta che viene pronunciata la parola “Tasse” è colpito da un principio di eritema, e chissà di quanti altri ridotti a comparse mute, a livide maschere di stupore e disappunto, a piccoli fantasmi inquieti tra le teche della televisione pubblica. Fantasmi che però un pochino sarà costato accompagnarli in treno/aereo e ospitarli in albergo, suppongo. (Colgo l’occasione per mandare un caro saluto a tutti coloro che posseggono una televisione e pagano il canone).

Perché in fondo l’importante è far parlare Cirino Pomicino il più a lungo possibile e stuzzicare Mughini,  mi sembra palese.

Epilogo
Quello che ricorderò di questa fantastica esperienza:

– La truccatrice che esclama «’un te trucco troppo, che mica stamo a fa’ Ballando!» e io che impiego una trentina di secondi per capire cosa possa significare quella frase.

– «Ma che fastidio che mi dava quella proletaria!», detto durante l’after show da uno che ho memorizzato come Bellicapelli perché non ne ricordavo il nome. Sempre quello che se t’impegni (il patrimonio) ce la fai e che OVVIAMENTE si riferiva alle persone che possono permettersela, di farcela. (Ribadisco il mio «e grazie al cazzo»). Mica parlava per conto di tutti gli altri poveri stronzi, eh.

– La cacio e pepe BUONISSIMA e assolutamente godereccia che ho mangiato l’indomani in zona Trastevere, una volta lasciatami alle spalle questa strana esperienza metatelevisiva.

– Il disappunto di alcuni amici e parenti che si sono sorbiti due ore di trasmissione invano. Per convincerli che mi avevano davvero invitata in tv, che avrei dovuto parlare ma che poi è andata diversamente, ho fornito una testimonianza eloquente:

 

– L’assillante interrogativo che mi sono posta per circa due minuti e mezzo: «Ma che m’hanno invitata a fare?».

Leggi il post La guerra dei tonti sul blog Le faremo sapere di Ornella Balsamo.

Redazione

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