Nonostante le temperature miti, esterne a sala d’Ercole, il giuramento della giunta varata dal presidente della Regione, Renato Schifani, è avvenuta in un mare politico in tempesta. Le imposizioni volute da Fratelli d’Italia, non sono state affatto digerite non solo dagli altri partiti di maggioranza ma anche all’interno della stessa formazione di Giorgia Meloni in Sicilia. L’ingresso, infatti, di Elena Pagana e Francesco Scarpinato, hanno lasciato alla porta Giusi Savarino e Giorgio Assenza. Con una differenza sostanziale. Era stato lo stesso Schifani a dire di volere all’interno del suo esecutivo solo componenti eletti all’Ars. Mentre, però, Savarino e Assenza hanno superato lo scoglio delle urne, lo stesso non è avvenuto per Pagana e Scarpinato.
La prima, cinque anni addietro, era arrivata in Aula grazie al Movimento 5 Stelle per poi lasciare i pentastellati e formare Attiva Sicilia e dunque aderire a Fratelli d’Italia; nel frattempo il matrimonio con il fedelissimo di Nello Musumeci, Ruggero Razza. Il secondo, dopo l’esperienza al Consiglio comunale di Palermo, aveva provato la corsa regionale ma dalle urne era uscito non eletto; adesso la nomina ad assessore in quello che era stato il posto, nella precedente squadra, di Manlio Messina ormai approdato alla Camera dei deputati.
In questo contesto si aggiunge la spaccatura interna a Forza Italia. Lo schiaffo a Gianfranco Miccichè, non coinvolto in giunta e nemmeno con un ruolo di rilievo nel Parlamento regionale, ha provocato la divisione tutta interna ai forzisti. Da una parte i lealisti al leader siciliano indiscusso del partito di Silvio Berlusconi, dall’altra i reduci dell’esperienza del Popolo delle Libertà che, magari, si rivedono nelle scelte di Schifani. Scelte che hanno accolto sic et simpliciter le volontà di Fratelli d’Italia ma che hanno ripudiato lo stesso creatore di questa maggioranza. Innegabile, infatti, il ruolo che lo stesso Miccichè aveva giocato nell’individuazione dell’attuale presidente della Regione come candidato di sintesi della coalizione di centrodestra e in alternativa all’uscente Musumeci. Con gli occhi dell’attualità il vice, Luca Sammartino, è colui al quale proprio Musumeci aveva augurato «interessi da parte di altre Aule e palazzi». Il riferimento, non troppo sottinteso, era alla giustizia.
Non va meglio all’interno di Fratelli d’Italia. Partito che ha sfondato le due cifre nel giro di pochi anni e che si trova a dovere fare i conti con incarichi e ruoli. Il carico di voti va adesso ricompensato ma i posti non sono stati per tutti. I malpancisti o delusi potrebbero guardarsi intorno e vedere in Gianfranco Micciché un valido interlocutore per trovare spazio nella partita. A giocare, dopotutto, il vero ruolo decisivo in questo quadro sono le minoranze al punto che la seduta di giuramento, è stata subito sospesa «in accordo con il presidente Schifani» ha precisato dallo scranno più alto Gaetano Galvagno. Sostanzialmente bisogna trovare la quadra. Accordo mancante da costruire nel giro di poche ore. All’ordine del giorno figurano l’elezione dei due vicepresidenti, tre questori e tre segretari; questioni che mostreranno tutti i nodi appalesati nella precedente seduta e che faranno capire i ruoli delle minoranze.
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