Spostare il processo ad Antonello Montante perché a Caltanissetta i giudici non avrebbero la necessaria serenità di giudizio. A chiederlo è l’avvocato Carlo Taormina, che si è aggiunto a Nino Caleca e Giuseppe Panepinto nella difesa dell’ex numero uno di Confindustria siciliana, arrestato lo scorso maggio e imputato – assieme ad esponenti delle forze dell’ordine, collaboratori e politici – con l’accusa di aver messo su una sorta di rete di spionaggio per acquisire informazioni sull’inchiesta per concorso in associazione mafiosa che pendeva nei suoi confronti a Caltanissetta.
L’avvocato Taormina ha presentato istanza di rimessione del processo per legittimo sospetto. Taormina si è rivolto alla Cassazione denunciando che nel procedimento a carico del suo assistito, si stiano commettendo «una serie di anomalie». Tra le cause che, secondo Taormina, legittimerebbero il trasferimento del caso ad altra sede giudiziaria c’è la mancata scarcerazione di Montante sollecitata nei giorni scorsi dalla difesa. Il legale sostiene infatti che per le condizioni di salute in cui versa l’imputato non debba stare in carcere.
«Antonello Montante – scrive Taormina in una nota – sotto scorta rigorosa anche al momento dell’arresto in quanto artefice della svolta antimafia nel settore imprenditoriale quale presidente di Confindustria Sicilia, ove era stato elaborato il codice etico per le espulsioni di imprenditori mafiosi, dopo aver subito un’opera di delegittimazione con la aberrante accusa di essere un mafioso, nonostante la verticale caduta di questa accusa, è stato ugualmente arrestato per una fattispecie associativa a fini corruttivi che la Cassazione ha ritenuto inesistente e, nonostante ciò, continua a essere tenuto in carcere pur di fronte a una conclamata gravità delle sue condizioni di salute». Secondo il legale, a carico di Montante ci sarebbe «un pregiudizio nutrito dai magistrati di Caltanissetta con cui ha condiviso per dieci anni il compimento di proficue attività antimafia e rapporti personali che non permettono serenità di giudizio».
Pronta la replica della Procura nissena: «Noi siamo sereni e tranquilli, come sempre. Anche rispetto a questa richiesta della difesa. Non abbiamo scheletri negli armadi: gli atti su alcuni magistrati sono stati da noi inviati alla Procura di Catania per la valutazione di competenza».
L’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta sull’imprenditore di biciclette parte nel 2014 e l’ipotesi iniziale è concorso esterno a Cosa Nostra. L’accusa alla fine decade perché la Procura sottolinea di non aver trovato elementi sufficienti, anche se nell’ordinanza di arresto i pm ribadiscono che sono provati «gli acclarati e qualificati rapporti con esponenti, anche di spicco, di Cosa nostra radicata nel territorio di cui egli è originario». Cioè Serradifalco.
Il 14 maggio, al momento dell’arresto, Montante era stato posto ai domiciliari. Ma dieci giorni dopo la misura cautelare fu aggravata con il carcere sia per l’atteggiamento assunto nel giorno dell’arresto, ma soprattutto per i contatti che l’imprenditore avrebbe avuto in casa pur avendo il divieto di incontrare persone non conviventi.
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