«Ma è sempre il gesso della lavagna?». Alfonso Scalici è uno che guarda alla qualità. È un pensiero che quasi lo tormenta. È il 16 dicembre scorso e, mentre tutti sono alle prese coi regali di Natale, lui sembra concentrato ad acquisti di ben altra natura. Acquisti per i quali non si può proprio prescindere da quella qualità da cui dipendono tutti i suoi affari migliori. Perché quella che deve vendere ai suoi esigenti clienti è cocaina. Ma la roba stavolta è proprio di buona qualità, lo rassicura il fornitore in persona, è solo difficile da trattare. «Ne ho tre-quattro che non si tagliano bene, messi di lato… è bella la cosa…». Bene, d’altronde l’acquirente sarebbe già pronto: «Io ho a uno che ha i soldi, ma vale la pena? – si domanda Scalici -. La vuole lui a 40 … 42 … (vale a dire euro al grammo ndr), come minchia faccio io?». A quello che adesso dovrà rispondere di essere stato un uomo d’onore della famiglia mafiosa di Balestrate e, addirittura, trait d’union tra Cosa nostra palermitana e quella trapanese, quei 42 euro al grammo sembrano davvero poco convenienti rispetto alla qualità del suo prodotto e ai rischi da correre.
Ma, provvidenziale, è ancora una volta il fornitore a rassicurarlo. Spiegandogli che basta riuscire ad aumentare il prezzo anche solo di un euro per riuscire ad aumentare le entrate: «Fattela pagare 43 e ci dividiamo 1500 euro l’uno». Scalici sembra lasciarsi convincere, ma lo ribadisce più volte, la roba deve essere ottima. Altrimenti l’affare salta. «Io lavoro sempre con cose buone, le prendo io…devo tenere l’amicizia. Se non è buona se la possono portare». «Minchia ma per ora attummuliano tutti…lavorano male certuni – replica seccato Scalici -, è caduto un altro amico mio che era con me a San Giuliano». Uno dei carceri dove è stato detenuto, a Trapani, un posto che non riuscirà a dimenticare facilmente, a giudicare dalla sfogo captato dalle intercettazioni: «Minchia quello che ho passato lì in galera…Il sangue mi scolava da tutte le parti…Non ne potevo fare a meno e mi dovevo adattare. E lì non mi davano niente, lo sai che cosa mi accontentavano? Solo la doccia tre volte la settimana».
Ma il fornitore, che lo ascolta sgomento, allontana subito quei brutti ricordi. Di nuovo rassicurando il collega. «Questa è molto più bella, un po’ sul giallino – gli dice, tornando a parlare della roba da spacciare -. Per il coso è importante per il fumarone …(cioè per fumarla, ndr). A te ti sembra che io ti prendo per fesso». Si sente il rumore di un cellophane, e poi di nuovo il fornitore che gli mostra il contenuto: «Questa è un’altra che tra un po’ c’è di nuovo. L’odore è diverso. È meglio per tirarla, guarda com’è…Quella di là, quando tu vedi, se la baciano. Quella del tu tu tu tu, asciuga subito! Minchia, lì si perde proprio di casa. Quando vieni mi dai una risposta. Ma poi non la trovi più. Sto cercando di fare arrivare sempre questa…». Nessuno vuole scontentare nessuno, insomma. «Casomai a questo il pacco glielo diamo così per come arriva – gli dice a questo punto Scalici -. Sai che mi dice? “L’importante è che il pacco me lo porti come una volta, una volta c’era la camera d’aria, il cellophane, tipo olio”».
Insomma, le prime esigenze vengono proprio da quei clienti particolarmente attenti e fedeli, a giudicare dal tenore delle conversazioni intercettate. Qualcuno sarebbe proprio un esperto, «quello capisce tutto». L’importante, oltre alla qualità, è che prima di aprirla il cliente assicuri che pagherà. Perché una volta tolto l’involucro non si può più tornare indietro. «Va bene, io ora glielo dico. Speriamo che prima di Natale – ipotizza Scalici -, non è buono che ci facciamo il Natale?!». E le feste, a giudicare dalla quantità acquistate da certi clienti del passato, sarebbero davvero potute essere principesche. Considerando che per un chilo di cocaina la somma dovuta è salita fino a 45mila euro. Una cifra da capogiro. Peccato che Scalici e i suoi non sarebbero mai riusciti a intascarla, arrivando addirittura a progettare una spedizione punitiva contro l’assuntore insolvente, partendo dall’ipotesi di gambizzarlo fino a decidere che forse era anche meglio ammazzarlo: «Basta che mi dai un ferro a me e un ragazzo che mi guida una moto e gli tiriamo di sopra…per me ci possiamo andare – diceva un sodale, d’accordo col piano -. Noi dobbiamo acchiappare al ragazzino e gli spariamo alle gambe e basta. Se tu vuoi io ci vado a parlare di nuovo ma secondo me è tempo perso. Gli spariamo alle gambe e ce ne liberiamo, l’unica è questa». Ma Scalici, se non fosse stato fermato dall’arresto di ieri, sembrava intenzionato ad andare addirittura oltre: «Lo devo andare ad ammazzare. Ultimamente con mio compare e un altro picciotto abbiamo pensato che ce l’andiamo a prendere, ce lo mettiamo nel furgone ce ne andiamo verso Gallitello, ci buttiamo un bidone di benzina e gli diamo fuoco … e prima che fanno il riconoscimento, guanti di paraffina, cose, non ce ne sono più!».
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