IL CONSENSO DI QUESTA CATEGORIA CONDIZIONA L’ELEZIONE DI OLTRE 40 DEPUTATI DELL’ARS. PER NON PARLARE DEGLI EFFETTI SULLE ELEZIONI POLITICHE NAZIONALI E COMUNALI
Nelle ultime settimane ci è capitato spesso di scrivere dei precari della pubblica amministrazione della Sicilia. Più volte abbiamo sottolineato che nella nostra Isola non ci sono solo i precari degli enti locali – che sono 23-24 mila – ma ci sono anche i precari dislocati in tanti uffici pubblici della Regione e tutti pagati dalla Regione: nelle Asp, gli infermieri precari per restare nella sanità, nei Consorzi di Bonifica, negli uffici dell’Esa, in tanti enti regionali e negli uffici della stessa Regione.
Nel complesso – l’abbiamo più volte scritto e lo ribadiamo oggi – i precari che operano nella pubblica amministrazione siciliana, oggi, sono circa 80 mila.
Più volte abbiamo scritto che la politica siciliana, negli ultimi mesi, nelle pubbliche dichiarazioni, fa riferimento solo ai 23-24 mila precari degli enti locali. Dimenticando i 47-48 mila precari degli uffici, degli enti regionali e della sanità.
In realtà, i politici siciliani non li hanno dimenticati. Tengono ‘bassa’ la questione. Ma, sotto sotto, seguono con estrema attenzione tutta la vicenda del precariato. E il perché proveremo sinteticamente a spiegarlo.
Gli 80 mila precari della Sicilia – che in realtà, negli ultimi anni, sono stati molti di più (nel ‘mazzo’ vanno considerati tutti quelli che sono già stati ‘stabilizzati’, cioè assunti con contratti a tempo indeterminato) – rappresentano la più importante fonte di voti della nostra Isola.
Ogni precario – considerando i suoi familiari e le potenzialità in termini di ‘attese escatologiche’ (ovvero l’esempio da invidiare che costituisce per gli altri disoccupati) – vale almeno 4 voti. Facendo un semplice conto della serva, quattro pe rotto fa trentadue.
Ciò significa che l’attuale precariato siciliano vale circa 320 mila voti.
Ora, all’Ars, in media si viene eletti con sei-sette mila voti (ci sono Partiti dove, per essere eletti, ci vogliono 8-10 mila voti, ma ce ne sono altri dove bastano 2 mila-2 mila e 500 voti). La media, in realtà, per risultare eletti a Sala d’Ercole, sarebbe più bassa di sei-sette mila voti. Ma noi la teniamo un po’ più alta.
Considerando, insomma, una media di sei-sette mila voti, va da sé che i precari – tutti ‘politicizzati’ nel senso deteriore del termine – condizionano l’elezione di oltre 40 deputati regionali su 90.
In pratica, nel silenzio generale, la politica siciliana, aggirando la Costituzione (che prevede il concorso per accedere nella pubblica amministrazione), ha creato una gigantesca operazione di voto di scambio mai sanzionata dalla Giustizia (per esempio, dall’Ufficio del Commissario dello Stato).
Attenzione: non stiamo considerando i precari ‘stabilizzati’. Gente che, di solito, una volta contrattualizzata definitivamente, potrebbe anche votare liberamente. Se aggiungiamo che una quota di precari ‘stabilizzati’ – anche minima – segue comunque la politica che l’ha beneficiata, il condizionamento dei precari sugli eletti dell’Ars è maggiore.
Questi spiega la grande attenzione della politica siciliana verso i precari: perché è da questo ‘serbatoio’ di clientele che arrivano tanti, forse troppi voti. Non soltanto per le elezioni regionali, ma anche per le elezioni politiche nazionali e per le elezioni comunali.
Che succederebbe con l’azzeramento del precariato siciliano? Semplice: che quasi tutto il Parlamento siciliano verrebbe eletto senza il condizionamento del precariato.
Succederà? ‘Temiamo’ di sì. Perché i soldi sono finiti. E la politica siciliana, al di là delle promesse vacue e fatue di improbabili pre-pensionamenti (ne parliamo in altra parte del giornale) dovrà fare, finalmente, di necessità virtù.
Siamo contenti che 80 mila persone restino a spasso? Assolutamente no. Infatti da mesi avvertiamo questi precari affinché si coalizzino per chiedere l’istituzione del salario minimo garantito per tutti. Che, a nostra avviso, alla luce delle difficilissime condizioni finanziarie della Regione, è l’unica via d’uscita.
Soprattutto se a caricarsi i costi di quest’operazione sarà l’Unione europea. Si tratterebbe, alla fine, di devolvere alla Sicilia una piccolissima frazione di risorse finanziarie che Bruxelles ‘scarica’ ogni anno nelle ‘casse’ delle banche. Si può fare. Non sarebbe la fine del mondo.
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