Istituto Gramsci, il Comune ordina lo sfratto «Nessuna risposta dopo mesi di trattative»

Rischia di chiudere l’Istituto Gramsci, dopo la notifica dello sfratto da parte del Comune di Palermo. Il motivo? La concessione degli spazi, per cui il Gramsci risulta debitore di 59mila euro. Una vicenda che va avanti da anni, in realtà, e che però si è acuita nelle ultime due settimane. Prima la notifica da parte degli uffici comunali, che hanno intimato di rilasciare l’immobile entro due mesi. Poi l’intervento critico del presidente del Gramsci Salvatore Nicosia allo scorso incontro di Sinistra Comune col sindaco Orlando

Nell’anno della Capitale della Cultura, l’eventuale chiusura del Gramsci rischia di essere un sonoro autogol per la giunta Orlando. E soprattutto un grave danno per la città, che da anni usufruisce di uno dei primi poli culturali all’interno dei Cantieri della Zisa. Il Gramsci infatti, come si legge nella descrizione sul sito, «svolge attività di raccolta, tutela e valorizzazione del patrimonio documentario, archivistico, bibliografico e di fonti orali relativo alla storia della Sicilia e al suo ruolo nell’area mediterranea, nonché di promozione culturale, di formazione, di istruzione e di ricerca in questo ambito specifico». L’istituto inoltre ha due soli dipendenti, che consentono l’apertura della biblioteca per 40 ore settimanali – l’unica biblioteca di Palermo che apre anche il sabato mattina. Ma a parte la fruizione bibliotecaria ha un notissimo archivio, tra cui gli scritti di Pio La Torre.

Può una storia importante finire così? Il presidente del Gramsci ripercorre le vicende del contenzioso. «Abbiamo avuto la concessione gratuita degli immobili per 10 anni – spiega Nicosia -, poi c’è un abbattimento del canone del 40 per cento: cioè il Comune fa valutare il bene e poi su quella cifra fa la riduzione. Ma nel regolamento che prevede le concessioni dei beni c’è un altro articolo, che dice che quando si rende un servizio alla comunità il sindaco può a suo giudizio concedere gratuitamente il bene, se c’è un contraccambio». Basterebbe insomma una delibera sindacale. «Loro dicono però che prima dobbiamo pagare gli arretrati. Il problema è che noi abbiamo presentato una proposta di transazione a febbraio del 2017, e non abbiamo ricevuto risposta. Io sono abituato a parlare tra istituzioni, conosco benissimo Orlando e non voglio presentarmi al sindaco come amico o come collega universitario. Il Gramsci vanta migliaia di lettori e migliaia di attività, non c’è giustificazione che tenga. Io sono pronto a consegnare le chiavi».

Giorno 5 maggio, poco prima del bicentenario dalla nascita di Karl Marx, il presidente Nicosia aveva già espresso questi concetti pubblicamente, di fronte Orlando e i compagni di Sinistra Comune. Un intervento inizialmente non previsto, il suo, che ha lasciato inizialmente ammutolita la platea per poi riservargli un lungo applauso. «Vedendo che si parla di beni comuni – ha detto in quell’occasione Nicosia – voglio ricordare che questo istituto è un bene comune, esistente da tempo. Rischia di chiudere non per iniziativa della Regione ma per disinteresse e incuria del Comune. Noi siamo tenuti a pagare seimila euro l’anno per il servizio che rendiamo alla città. Quello degli ultimi 12 anni, con una penosissima interlocuzione col Comune che riguarda la precedente gestione e anche l’attuale. Siamo arrivati a una transazione, presentata il 18 febbraio dell’anno scorso, dopo un’intesa col vicesindaco Arcuri e tutti i funzionari. Dopo un anno e tre mesi non abbiamo ricevuto nessuna risposta se non l’ingiunzione di sfratto tra poco tempo. Se chiude questo istituto la città avrà perso un grande centro di elaborazione culturale».

Il primo cittadino ha risposto immediatamente alla polemica sollevata, di fatto confermando la ricostruzione del presidente del Gramsci. «A me piace affrontare i problemi per quel che sono – ha risposto Orlando -. Quando si stipula un contratto con la pubblica amministrazione che prevede un pagamento il dirigente si mette in pizzo, se no paga lui di tasca sua. Noi stiamo cercando di recuperare una transazione che vale anche per il passato, in modo da computare i servizi resi in cambio dei 500 euro al mese di locazione. È un’operazione di cui non risponde il sindaco, perchè poi alla Corte dei Conti ci va il dirigente».

Una risposta che ha lasciato perplesso il professor Nicosia. «Ma che significa che il funzionario teme la Corte dei Conti? Avevamo fatto una transazione, anche diluita. Se dobbiamo pagarli questi soldi li paghiamo, il problema è che non abbiamo ricevuto una risposta». 

Andrea Turco

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